insalata in busta insalata in busta

L’insalata in busta potrebbe sparire, lo stop della Ue a confezioni sotto 1,5 kg

Il nuovo regolamento sugli imballaggi dell’Unione Europea rischia di cancellare dagli scaffali dei supermercati l’insalata in busta, i cestini di fragole, le confezioni di pomodorini e le arance in rete ma anche le bottiglie magnum di vino con un effetto dirompente sulle abitudini di consumo degli italiani e sui bilanci delle aziende agroalimentari.

Rischio stop per l’insalata in busta

La proposta di regolamento sugli imballaggi presentata dalla Commissione Europea “imporrebbe, tra le altre cose, l’addio alle confezioni monouso per frutta e verdura di peso inferiore a 1,5 chilogrammi, giudicate superflue e considerate al pari delle piccole confezioni di shampoo usate negli hotel”, scrive la Coldiretti in una nota diffusa in occasione dell’apertura a Milano della manifestazione Tuttofood.

Secondo l’organizzazione che rappresenta i coltivatori diretti, sorgerebbero problemi “dal punto di vista igienico-sanitario, della conservazione e degli sprechi, che potrebbero aumentare, come potrebbero aumentare anche i costi per i consumatori e per i produttori”. Il cestino di fragole o piccoli frutti, definito “tradizionale”, garantirebbe ad esempio l’integrità del prodotto nelle fasi di trasporto. A preoccupare la filiera anche gli effetti negativi sui consumi. “I prodotti di quarta gamma, dalle insalate in busta alla frutta confezionata, sono ormai entrati profondamente nelle abitudini degli italiani, con il pericolo di ridurne il consumo, già calato dell’8% per la frutta e del 10% per gli ortaggi nel 2022, con un impatto pericoloso sulla salute”, sottolinea ancora Coldiretti. In base ai dati diffusi dalla confederazione, appena il 16,8% degli italiani ha consumato prodotti ortofrutticoli almeno quattro volte al giorno, come suggeriscono di fare gli esperti dell’Organizzazione mondiale per la salute. Sarebbe in atto una forte diminuzione (circa il 20%) rispetto al periodo 2015-2018. Da capire quanto tutti queste confezioni aiutino davvero i cittadini nell’acquisto di prodotti ortofrutticoli.

Rinunciare a formati extra

Altro tema al centro del dibattito connesso al regolamento è la standardizzazione delle bottiglie per il vino e la riduzione del loro peso. La filiera vitivinicola teme in particolare di perdere il formato magnum ma anche le tipologie più “importanti”, come ad esempio quelle necessarie per i grandi vini invecchiati, come il Barolo e l’Amarone. Dal 1° gennaio 2030, il 10% delle bevande alcoliche immesse sul mercato deve inoltre utilizzare imballaggi inseriti in sistemi di riuso (non riciclo) ma dal 1 gennaio 2040 tale soglia salirà al 25% dei prodotti immessi sul mercato. Per i vini, ad eccezione dei vini spumanti, è prevista una soglia del 5% a partire dal 1 gennaio 2030 che salirà al 15% entro il 1 gennaio 2040. I produttori sono preoccupati per le condizioni di riutilizzo del vetro, che presentano “contorni problematici e poco chiari”, col rischio di vanificare il lavoro fatto nel corso degli anni sul fronte del riciclo.

“Impatto devastante”

Per Confindustria “la bozza di regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio predisposta dalla Commissione Europea, stravolge i principi fin qui adottati per la loro gestione e avrebbe un impatto devastante su tutte le imprese italiane con quasi 7 milioni di posti di lavoro a rischio“. Dice il vicepresidente di Confindustria, Emanuele Orsini: “Condividiamo fortemente gli obiettivi della transizione ambientale, già da tempo al centro delle priorità delle imprese industriali, ma per completarla servono più tecnologia, più investimenti e soprattutto la necessaria proporzionalità e gradualità nelle regole, per permettere alle aziende di sostenerne i costi mantenendo alte leadership e competitività sui mercati internazionali. Ma il problema ambientale può diventare sociale se non rispettiamo la neutralità tecnologica: abbiamo settori – come il packaging e l’automotive – in cui siamo leader e puntare su una tecnologia rispetto ad un’altra uccide l’industria europea e non risolve il problema”, prosegue. ” Ad esempio, identificare come uniche tecnologie quelle a zero emissioni allo scarico è un errore, perché consegna la filiera nazionale dell’automotive ai produttori asiatici e mette a rischio 70mila lavoratori del settore che con l’indotto arriverebbero a 140mila. È pertanto di fondamentale importanza sviluppare il concetto di carburanti carbon neutral per consentire alle diverse tecnologie di concorrere da subito alla riduzione e poi all’azzeramento delle emissioni di CO2 nel settore dei trasporti. Anche nel riciclo e nel packaging l’industria italiana è all’avanguardia, e ha investito per anni”, conclude Confindustria.

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