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La rivoluzione di Genova, in 20 mesi cambia tutto, dalle poltrone al giornale

La rivoluzione di Genova, in 20 mesi cambia tutto, dalle poltrone al giornale. Ora che anche “IL Secolo XIX” cambia proprietà, passando dalla Gedi di John Elkan alla MSC di Gianluigi Aponte, si può dire che a Genova sta cambiando proprio tutto: dal giornale quotidiano, al porto, all’aeroporto, alle poltrone più importanti del sindaco, del presidente della regione, dell’Autorità portuale, a pezzi interi di città.

Genova è un cantiere aperto, non solo in senso figurato, ma anche fisicamente e non è un caso che il traffico sia impazzito ogni giorno, spesso imbottigliato. E’ come una mutazione genetica, che cambia i connotati della città che fu Repubblica e in un anno, il 2024 dedicato al Medioevo, sembra aggrapparsi inutilmente al suo passato lontano, ma anche a quello più recente.

Da capitale del Mediterraneo, delle banche, dei soldi, delle palanche, capace di prestare i suoi forzieri di monete a Carlo V, a quella di ieri, capitale dell’ IRI con le industrie di Stato, dominante non solo nel posti di lavoro distribuiti, ma anche culturalmente e con il porto pubblico, dove regnavano i camalli comunisti con il loro monopolio inattaccabile. Da oggi al 2026 torna tutto in gioco, a parte la “carega” del sindaco, che cambierà padrone fra un anno e mezzo, dopo, ma già se ne parla. Fin troppo.

Soprattutto da un punto di vista strutturale la rivoluzione sarà epocale. E quei modelli antichi, una volta marchi indelebili come appunto la capitale della finanza e poi dell’industria pubblica, mantengono solo sprazzi di vestigia nel carattere profondo, nei proverbi in dialetto, in qualche eredità professionale di ingegneri, carpentieri, idraulici, saldatori, ultimi discendenti delle caste di lavoratori, di preziosa competenza, oggi sostituiti da peruviani, cileni , equadoregni, in un melting pot per cui la lingua più parlata popolarmente è lo spagnolo.

ll famoso supertreno Milano-Genova, atteso da 110 anni, trasformato da siluro coast to coast da 35 minuti in treno a grande capacità in poco meno di 60 minuti, dovrebbe arrivare alla stazione di Genova Principe alla fine del 2026. Ma a una canna sola. Cioè un solo binario, che quello doppio è in ritardo.

Tant’è arriverà, cambiando molto nei ritmi tra la Lanterna e la Madunnina e soprattutto nei valori immobiliari di Genova, dove ci sono decine di migliaia di appartamenti vuoti e palazzi interi nei “caruggi” che aspettano investimenti. Un grande regista di cinema californiano ha già comprato una splendida villa in Circonvallazione a Monte, vuota da decenni con un prezzo che calava continuamente e da lì scriverà sceneggiature e soggetti, tra il Convento dei Carmelitani Scalzi di sant’Anna e la vista sul porto.

Molti milanesi cercano case con giardino sul mare tra la Foce, che Renzo Piano sta riempiendo di alberi e canali d’acqua e Nervi, il quartiere nobile, dove stanno restaurando vecchi alberghi uno dietro l’altro. Insomma viva il treno veloce, che strapperà Genova dall’isolamento ferroviario, perché da quello autostradale bisogna aspettare ancora. Il processo per le 43 vittime del ponte Morandi è sul filo della prescrizione e fin’ora i condannati sono i turisti e i liguri in viaggio sulle autostrade, da cinque anni in coda se non rischiano la pelle nelle corsie uniche, provocate dai cantieri infiniti.

Il grande tunnel subportuale, che rivoluzionerà il traffico nel cuore della città, ha già visto celebrare la prima inaugurazione con la solita cerimonia di taglio dei nastri, la specialità del presidente della Regione Giovanni Toti, che inaugura ogni giorno, sperando così di ottenere il terzo mandato alle prossime elezioni del settembre 2025, sembra prorogato al maggio 2026, quindi ancor più anno decisivo.

A maggio il sindaco e Renzo Piano inaugureranno il water front di Levante, il nuovo quartiere, nato dove c’era la storica Fiera di Genova, residenze di lusso per ricchi milanesi, supermercati, canali d’acqua, ponti, promenade con ascensore per arrivare al Porto Antico e un Palasport, vecchia gloria dove cantarono nel 1965 i Beatles, ora rifatto tra piste sportive, spazi di tempo libero, luogo per eventi.

Nel 2026 termineranno anche i lavori del nodo ferroviario genovese, che trasformeranno molte linee secondarie nelle metropolitane in superficie verso la Valpolcevera e verso Levante. Mentre nell’altra valle, quella del famigerato torrente Bisagno, pronto a scatenare le peggiori alluvioni, si dovrà costruire lo skymetro, l’opera più contestata che ci sia, un tram sospeso su piloni piantati nel greto del fiume dalla stazione Brignole, fino a Molassana, 9 chilometri di imbuto, scavalcato da questa struttura che ha già mosso migliaia di cittadini in proteste anche dure.

Non lo vogliono e il sindaco insiste: nel 2028 potrebbe essere pronto come i superbus che a Nizza collegano il centro con le zone periferiche. Mentre un’altra talpa scava lo scolmatore che dovrebbe salvare tutta l’area dalle ritmiche alluvioni.

Ma la più grande opera di tutte, la grande diga portuale che sposterebbe il porto di quattrocento metri al largo, con una banchina alta sessanta metri dal fondo del mare e per 6 chilometri di lunghezza, inaugurata anch’essa un paio di volte, è stata bloccata nei giorni corsi dall’ ANAC, l’Ente nazionale Anticorruzione, che ha ingiunto ben sette prescrizioni per far ripartire i lavori, che si stanno svolgendo con il versamento di centinaia di milioni di metri cubi di ghiaia negli abissi del golfo. La nave-cocchiera che dovrebbe calare su queste montagne sottomarine i cassoni della diga gira già nel golfo di Genova pronta a “sparare”il suo primo cassone.

Ma ora tutto è in dubbio e la battaglia tra la magistratura di controllo e il Governo ligure e nazionale, che indica in questa opera il cantiere più importante del Paese, sta appena cominciando. Col mutamento climatico e l’innalzamento del livello del mare che incombono.

In ballo c’è tutto di quella trasformazione genovese da realizzare in pochi anni, perché se si fa la diga che permetterà alle navi di 400 metri di entrare nel porto e di ampliare gli spazi di tutto lo calo, con i riempimenti e i terminal molto più attrezzati collegati per ferrovia direttamente con le nuove linee, se si fa la diga super tutto il resto girerà per il verso del cambiamento epocale.

Altrimenti Genova sarà ancora piena di cantieri, come è previsto fino al 2030, con i piloni della funivia per le alture del Righi, con lo stadio di Marassi da rifare sul posto, con un pezzo della Sopraelevata da abbattere per dare fiato ai nobili palazzi in faccia all’Acquario e ai moli storici, con il nuovo aeroporto, finalmente modernizzato e pronto per i suoi collegamenti in tapis rulant e linee dedicate verso le stazioni ferroviarie e marittime e con le seggiovie per la collina degli Erzelli.

Opera del neo presidente Alfonso Lavarello, manager imprenditore di radici genovesi doc (Castelletto) e carriera stellare tra gli emirati arabi e la cuba di Fidel Castro, da lui turisticizzata, uomo riservato, ma con i link giusti verso Ginevra, dove abita il suo amico, il comandante Aponte.

Gira tutto intorno a quell’opera kolossal, se Genova cambia, perché tutto a Genova riparte sempre con il porto, ricostruito nel Medioevo, ricostruito ancora, secoli dopo, dal Duca di Galliera, a fine Ottocento, salvato dal cardinale Siri dalle mine tedesche, alla fine della seconda guerra mondiale, privatizzato dal manager di Craxi, Roberto D’Alessandro nel 1985, rompendo i vecchi monopoli.

E ora pronto a ingigantirsi, mentre la città cambia (o cambierebbe?) tutto. E allora anche l’arrivo, come editore del comandante Luigi Aponte, leader di Msc, che si prende “Il Secolo XIX”, dopo avere fatto di Genova e del suo porto una sua base forte di terminal, di navi da crociera e merci, lui, che è uno degli armatori più grandi al mondo e ha finestre aperte ovunque, ha un senso che va letto un po’ in grande. O no?

Franco Manzitti

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