L’avvocato dell’ex comandante della Polizia Locale di Anzola ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che ha disposto la custodia cautelare in carcere per il 62enne. L’uomo è accusato dell’omicidio pluriaggravato di Sofia Stefani, un’ex vigile di 33 anni, uccisa il 16 maggio nel comando della Polizia Municipale di Anzola dell’Emilia. Secondo la difesa, non sussistono né la gravità indiziaria né il pericolo di fuga o di recidiva, pertanto è stata chiesta la scarcerazione o, in subordine, la concessione degli arresti domiciliari.
L’uomo sostiene che il colpo partito dalla sua pistola d’ordinanza sia stato accidentale, avvenuto durante una colluttazione con la vittima. L’ex comandante afferma che Sofia Stefani lo perseguitava dopo la fine della loro relazione sentimentale, una circostanza che avrebbe portato a tensioni tra i due. L’uomo ha dichiarato al gip che Sofia Stefani gli aveva detto di essere incinta per cercare di riavvicinarsi a lui, ma poi aveva confessato di aver mentito. Nonostante la relazione extraconiugale, il 62enne afferma di non aver mai avuto intenzione di lasciare la sua famiglia e che con sua moglie avevano deciso di affrontare insieme la situazione.
Per chiarire la dinamica dell’incidente saranno fondamentali gli accertamenti medico-legali e balistici condotti dalla Procura, con il coinvolgimento degli esperti del RIS e della dottoressa Valentina Bugelli. Gli accertamenti dovranno stabilire la traiettoria del proiettile, che ha colpito Sofia sotto l’occhio sinistro da distanza ravvicinata, e la presenza di impronte e tracce di DNA sull’arma. Se la vittima avesse effettivamente afferrato per prima la pistola dalla parte del carrello, dovrebbero esserci le sue tracce in punti specifici dell’arma.
Per la Procura e il giudice che ha disposto la custodia cautelare, il 62enne avrebbe “simulato una tragica fatalità”. La tesi dell’accusa si basa su elementi che suggeriscono una messa in scena dell’omicidio come incidente. Il tribunale del Riesame ha due settimane di tempo per fissare un’udienza, a porte chiuse, in cui l’indagato potrà chiedere di essere sentito.
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