L’attaccante dell’Inter Lautaro Martinez è stato condannato a un risarcimento dalla sezione Lavoro del Tribunale di Milano per avere licenziato una baby-sitter gravemente malata. La donna, una 27enne di origini argentine come il bomber nerazzurro, è morta pochi mesi dopo avere presentato ricorso: adesso il campione del mondo dovrà risarcire i suoi familiari. Un licenziamento ritenuto dal giudice “illegittimo”, che si sarebbe basato sul superamento dei giorni in cui poteva assentarsi per malattia.
Ma il calciatore non ci sta e appena uscita la notizia ha condiviso sui social la sua versione dei fatti. “A lungo ho deciso di rimanere in silenzio – scrive -, per rispetto di una famiglia che con noi non ha mai avuto rispetto. Ma non permetterò che venga infangata la mia famiglia”. Come ha precisato anche l’avvocato Anthony Macchia, che difende l’atleta, “il licenziamento è stato comminato sei mesi prima del decesso” della 27enne e Lautaro “non era a conoscenza della gravità della malattia della signora, la quale peraltro aveva lei stessa fatto richiesta di essere licenziata per poter fruire delle retribuzioni differite e del Tfr”. Lo stesso attaccante, nel testo condiviso su Instagram in lingua spagnola, dice “abbiamo assunto una persona già malata, una cara amica, fino a quando la salute non le ha impedito di lavorare. Abbiamo fatto molto per lei e la sua famiglia”.
Lautaro aveva assunto la 27enne affinché si prendesse cura della figlia Nina e soltanto alcuni mesi più tardi lei era stata ricoverata in ospedale a causa di un grave malore e la terribile diagnosi. A quel punto, quindi, la donna avrebbe smesso di lavorare e, mentre si trovava ancora nella struttura, avrebbe saputo di essere stata licenziata. È stato allora che la ragazza si sarebbe rivolta ai legali Michele Gagliano, Giuseppe Vadalà e Concetta Quartuccio per presentare ricorso. Dopo la sua morte nel 2023, avvenuta mentre si trovava in Argentina, i familiari hanno riassunto il giudizio pendente. Secondo Martinez, proprio questi ultimi avrebbero “aspettato che la figlia fosse sul punto di morire e non fosse più lucida, per cercare di ottenere dei soldi da noi e approfittare della situazione”.
Secondo l’avvocato Macchia, inoltre, il calciatore “si è reso disponibile a elargire gli importi indicati dal giudice del Lavoro del Tribunale di Milano (peraltro, ben maggiori rispetto a quelli poi indicati nel dispositivo della sentenza dallo stesso magistrato) a un’associazione benefica da scegliermi a discrezione del giudicante” e “l’accordo non è stato possibile per il rifiuto degli eredi della signora e dei suoi procuratori presenti in udienza”.
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