Nove lupi, tre grifoni e due corvi imperiali sono morti a causa di bocconi avvelenati. È questo il bilancio dell’attività d’indagine dei Carabinieri Forestali e della Procura della Repubblica che ha aperto un’inchiesta sulle carcasse rinvenute nell’area di Cocullo (L’Aquila)m nel parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Nel giro di una settimana, come conferma il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, è stato praticamente sterminato il branco di lupi che stanziava nella zona di Olmo di Bobbi. Una località nota per essere praticamente lo spartiacque tra la Valle del Giovenco, la Valle Subeacquana e la Valle Peligna.
“Queste persone, e si tratta di criminali, vanno colpite indirettamente e vanno isolate adottando degli strumenti analoghi a quelli adottati, tipo la Legge 353, sugli incendi boschivi. Quando si verifica un episodio di avvelenamento in una zona, in un raggio da identificare, si vietano tutte le attività esattamente come accade con gli incendi boschivi. La zona percorsa dal fuoco è interdetta a qualunque attività di pascolo, caccia, raccolta del tartufo ecc”.
E’ la dura presa di posizione del direttore del Pnalm Luciano Sammarone dopo la conferma dell’avvelenamento di nove lupi e 3 grifoni in una zona limitrofa al Parco Nazionale in zona Cocullo. In molti in queste ore hanno ipotizzato una relazione con gli allevatori che avrebbero preso in affitto i pascoli in quella zona poco frequentata a cavallo tra Pnalm e Sirente, e che non sarebbero del luogo ma provenienti dalla Puglia. Sammarone, che è anche alto ufficiale dei carabinieri forestali in aspettativa, chiama però a raccolta anche le popolazioni del luogo perchè se è auspicabile che “vengano adottate delle misure efficaci in termini di repressione”, è altrettanto chiaro che “individuare il responsabile è una delle cose più difficili perché non c’è la pistola fumante. Va individuato il prodotto, probabilmente chimico, anche quelli di libera vendita a cui potrebbe accedere chiunque e va trovato ovviamente il nesso di causalità. Per questa ragione è difficile beccare chi fa uso di esche avvelenate. Quindi – è il suo ragionamento – ci deve essere anche una assunzione di responsabilità da parte delle comunità locali, della gente comune che spesso è quella che evidentemente poi tende a frenare, c’è una grande omertà, nessuno parla, nessuno dice nulla e quindi individuare i responsabili è sempre estremamente complicato. Mentre vanno buttati fuori dal territorio”.
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