Negli ultimi 40 anni in Trentino-Alto Adige la neve è diminuita del 75% nella città di Bolzano e del 46% a Trento. Ma se nei capoluoghi di provincia la mancanza di neve è sotto gli occhi di tutti oramai da anni – tanto che le rare nevicate occupano spesso le prime pagine dei giornali – a preoccupare di più i ricercatori sono i numeri negativi di altre località.
Un gruppo di ricerca di ‘Eurac Research’, in collaborazione con l’Università di Trento, ha collezionato i dati storici sulle precipitazioni nevose messi a disposizione dalle Provincie autonome e dal prezioso lavoro dell’associazione Meteo Trentino Alto Adige e li ha interpretati in relazione alle fasce di quota e ad altri parametri climatici. I risultati delle analisi, pubblicati sull’International Journal of Climatology, mostrano come in generale i trend delle nevicate dal 1980 al 2020 sono diffusamente negativi in tutto il Trentino Alto Adige, con picchi fino a meno 75 per cento.
I dati più negativi si registrano a inizio e fine stagione: solo nel cuore dell’inverno, tra gennaio e febbraio, e attorno 2.000 metri di quota, le nevicate sono stabili o addirittura in crescita in poche stazioni di misurazione come quelle dei passi Rolle e Tonale, che registrano un aumento attorno al 15 per cento. Nei fondovalle la mancanza di neve, pur non danneggiando direttamente l’economia dello sci, ha comunque cambiato del tutto la percezione dell’inverno.
Ovunque si registra un aumento delle temperature medie, con picchi fino a 3 gradi. “A San Candido le nevicate sono diminuite del 26 per cento, a Andalo del 21 per cento e a Rabbi del 29 per cento”, riferiscono Giacomo Bertoldi e Michele Bozzoli, idrologi di Eurac Research. “L’impatto visivo è meno forte perché parliamo di posti dove l’accumulo medio di neve fresca rimane comunque sopra il metro, ma queste diminuzioni hanno conseguenze gravi per le falde acquifere, la disponibilità di acqua e dunque tutte le attività umane che ne hanno bisogno”.
I ricercatori riconducono questi dati al generale aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico. “L’aumento medio della temperatura nelle 18 stazioni che abbiamo selezionato è di 1,54 gradi. Per il caldo le precipitazioni rimangono perlopiù sottoforma liquida, soprattutto alle quote più basse, perché non c’e’ abbastanza freddo per trasformarsi in neve”, avvertono Bertoldi e Bozzoli. In effetti, il bilancio totale delle precipitazioni stagionali in quarant’anni non è negativo: anzi, ovunque sono aumentate, ma per lo più sottoforma di pioggia, e questo aspetto è solo parzialmente rassicurante.
Infatti, anche se statisticamente non sembrano aumentare gli inverni secchi come questo o il precedente – e questo è indispensabile per avere abbastanza acqua – il passaggio da neve a pioggia ha conseguenze negative non solo per le attività sciistiche. La neve è fondamentale perché protegge i ghiacciai e il terreno ostacolando l’evaporazione e, sciogliendosi lentamente in primavera, ricostituisce gradualmente le riserve di acqua.
“Senza neve il rischio siccità è maggiore”, precisa Bertoldi. Anche i pochi casi di trend positivi delle nevicate, a quote attorno o superiori ai 2.000 metri, sono da ricondurre al fatto che, nonostante un aumento della temperatura, è ancora sufficientemente freddo perché le precipitazioni avvengano sottoforma di neve. Per esempio, anche se ai passi Rolle e Tonale le temperature sono cresciute in media rispettivamente di circa 1,5 e 2,3 gradi, l’aumento delle precipitazioni ha portato a un aumento dell’accumulo di neve fresca rispettivamente del 16 e 17 per cento.
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