La “maledizione” di Pompei ha colpito una giovane turista straniera, che si è ammalata e, in via anonima, ha spedito al direttore del Parco archeologico Gabriel Zuchtriegel, dei piccoli reperti di pomice che aveva trafugato, chiedendo scusa e sperando, così, di guarire. Il tutto, accompagnato da un biglietto scritto in inglese.
“Non sapevo della maledizione. Non sapevo che non avrei dovuto prendere delle pietre. Nel giro di un anno mi sono accorta del cancro. Sono giovane e in salute e i medici dicono che è solo ‘sfortuna’. Per favore accetta le mie scuse e questi pezzi. Mi dispiace”. La foto della lettera e dei tre pezzettini di pomice portati via è stata pubblicata su X da Zuchtriegel, con un post, sempre in inglese: “Cara anonima mittente di questa lettera… le pietre di pomice sono arrivate a Pompei… Ora buona fortuna per il tuo futuro e ‘in bocca al lupo’ (in italiano – ndr), come diciamo in Italia”.
Messaggi come quello della giovane turista arrivano frequentemente alla direzione del Parco. Ne sa qualcosa Sophie Hay, archeologa che lavora da anni a Pompei, che spesso li pubblica sui suoi profili social. Il riferimento è quello alla “sfortuna” che colpirebbe chiunque prelevi reperti da Pompei. La “leggenda della maledizione” spinge tanti a restituire il maltolto, prelevato come “ricordo” del viaggio o souvenir, senza rendersi conto della gravità del gesto.
Alla base di questa superstizione c’è la credenza che Pompei, la città distrutta nel 79 d.C. dall’eruzione del Vesuvio, punisca coloro che portano via una qualsiasi traccia della storia del luogo. Un gesto compiuto da migliaia di persone da molti anni, che comporta un continuo depauperamento dell’area archeologica.