Policlinico di Bari, un giorno arriva una ispezione dell’appunto Ispettorato nazionale del Lavoro. L’ispezione accerta che durante la pandemia Covid non sono stati rispettati turni e riposi, che il personale medico ha lavorato più che poteva, più di quanto fosse scritto e pattuito in regolamenti, protocolli, pattuizioni. Hanno lavorato oltre e fuori l’orario. allo scadere di orari e turni non hanno lasciato cadere camice e stetoscopio, non hanno mollato la corsia. Niente meno hanno lavorato al ritmo dei pazienti che affluivano e della gente da curare.
L’ispezione accerta e istruisce relativa pratica che sfocia tempo dopo in una sanzione: chi è stato responsabile di aver fatto lavorare il personale medico a misura di pandemia è andato oltre e contro i sacri regolamenti, protocolli, pattuizioni. Turni, pause, avvicendamenti sono stati oltraggiati, violati, umiliati a vantaggio delle prestazioni mediche. E questa cosa non s’ha da fare, come si sono permessi primari, assistenti, personale medico del Policlinico di Bari di lavorare come se ci fosse una pandemia? Chi li ha autorizzati? E comunque non si fa. Vanno sanzionati per la violazione dei riposi, orari e turni abituali. E la sanzione prende la forma, insieme feroce e grottesca, di una multa in migliaia di euro.
La cosa è appunto talmente grottesca e feroce che interviene il Quirinale e la multa ai medici che lavorano troppo quando c’è la pandemia è stata “sospesa”. Sospesa per il giorno del mai e l’anno del poi. Sospesa per macroscopica, gigantesca incongruenza: punire, reprimere, sanzionare chi fa “troppo” il suo dovere professionale e civile è troppo, appunto, anche per la nostra sbrindellata comunità sempre meno civica e civile. Quindi un caso limite, limite ma esemplare delle burocratiche ottusità, e un lieto fine. Happy end però solo grazie a una mossa niente meno che del Capo dello Stato. Ma la storia non è tutta qui e non è stata solo burocratica ottusità. C’è di più e di peggio.
Quel sindacato autonomo locale
Chi ha chiamato l’Ispettorato del Lavoro al Policlinico di Bari? Chi ha denunciato, sì proprio di “denuncia” si è trattato che in quell’ospedale si lavorava troppo e magari si salvava qualche ricoverato ma si straziavano regolamenti, turni e riposi del personale? Chi ha ritenuto primario e valore non negoziabile il rispetto di turni, riposi e magari ferie rispetto alla copertura di corsie, reparti e terapie? Alla domanda le cronache tutte rispondono con identikit che molto dice e qualcosa omette: “sindacato autonomo locale ha attivato iniziativa Ispettorato Lavoro”. All’Ispettorato con neanche tanta saggezza potevano risparmiarsi la missione. O forse no, in quel caso il “sindacato autonomo locale” avrebbe denunciato anche l’Ispettorato, magari a qualche Tar. Così, per non sapere né leggere né scrivere e non assumersi responsabilità (attività che la Pubblica Amministrazione giudica pericolosissima) dall’ispettorato sono andati al Policlinico a fare brava ispezione e relazione sul “quanto” lì lavorato.
Il “perché” di quel quanto avranno, come da scuola Ponzio Pilato, all’Ispettorato pensato non “ci compete”. Ma la missione non sarebbe partita senza un mandante, appunto quel “sindacato autonomo locale”. Ora il fatto, omesso o comunque non rilevato dalle cronache, è quel sindacato in quel della Sanità di Bari non è escrescenza folkloristica. Di “sindacati” così ne è punteggiata la geografia sociale e ne è rilevante e costante la presenza e l’azione in ogni comparto di lavoro. Soprattutto però di sindacati così ne è dotato il Pubblico impiego, la Pubblica Amministrazione o le aziende a partecipazione pubblica, segnatamente quelle dei servizi pubblici. Ambienti e situazioni di lavoro dove tutt’altro che rara è l’idea, e soprattutto la pratica, secondo cui percepire lo stipendio è correlazione esclusiva ed esaustiva dell’essere stati assunti, quanto poi alla prestazione lavorativa, nel caso e solo nel caso, occorre sovrassoldo.
Ma, soldi a parte, quel che conta e spicca è la cultura, profonda, di questi sindacati “autonomi e locali”. La cultura del nulla importa più del “mio”. La cultura del “prima io”, prima di ogni altra esigenza, interesse, valore. La cultura del c’è la pandemia ma nessuno osi chiedermi uno straordinario. La cultura del mio diritto è l’unico che vale. La cultura che nella società sempre meno civile nella quale viviamo praticano, cullano e coltivano mica solo quelli del sindacato autonomo locale sanità di Bari, la cultura che è di casa in ogni associazione di interesse, gruppi e mestieri. In quel sindacato autonomo locale che ha “denunciato” chi faceva curare “troppo” la gente malata quella cultura non è solo di casa, è padrona di casa. La differenza c’è, c’è ancora. Ma sempre più spesso è differenza di forma e non di sostanza.