Parla la mamma del neonato di tre giorni, trovato morto all’ospedale Pertini di Roma, nel letto in cui la donna lo teneva dopo averlo allattato ed essersi addormentata. “Sto leggendo le dichiarazioni rilasciate dalla Asl 2, dicono che hanno garantito tutta l’assistenza necessaria, che alle puerpere viene fatta firmare un’autorizzazione a tenere i figli con loro. Bellissime parole, peccato non siano veritiere”. “Ho chiesto aiuto e mi hanno detto no”, dice.
“Più volte ho chiesto in reparto di essere aiutata – precisa al Messaggero – perché non ce la facevo da sola e di portare per qualche ora il bambino al nido per permettermi di riposare, eppure mi è stato detto sempre di no”, aggiunge. “Non è che si giustificassero in qualche modo. Dicevano che non era possibile e basta. E io rimanevo lì a dovermi occupare di tutto. Dovevo allattare il piccolo, cambiarlo, riporlo nella culletta accanto al letto, e ho dovuto farlo anche subito dopo il parto anche se ero sfinita”.
In attesa che la magistratura, che indaga per omicidio colposo, chiarisca e accerti la vicenda, moltissime mamme hanno tirato fuori sui social le loro testimonianze sulle difficoltà del post parto, sull’allattamento nello stesso letto, sul rooming in forzato, o sulla fortuna, invece, di incontrare professionisti attenti e un nido a cui affidare nella notte o nella stanchezza i neonati.
La vicinanza tra madre e figlio, subito dopo il parto, porta con sé numerosi benefici sia al neonato che alla donna evidenziati da molte ricerche. Stando ai risultati di uno studio italiano, che si è concentrato sui livelli del cortisolo salivare, il rooming in riduce i livelli di stress nel neonato. Inoltre, come viene precisato sul sito della Ausl Modena, se da una parte la vicinanza favorisce il raggiungimento di un ottimale ritmo respiratorio e digestivo e rafforza l’apparato immunitario del bambino, dall’altra la madre può sperimentare le proprie competenze nell’accudimento esercitandosi nell’allattamento e nelle prime cure del neonato.
Il modello del rooming in viene promosso anche dalle principali istituzioni internazionali, come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), e nazionali, come il Ministero della salute, anche per quanto riguarda il corretto avvio all’allattamento al seno. Il rooming in è stato inserito, come riporta la dichiarazione congiunta Oms/Unicef, tra i dieci step fondamentali per il successo dell’allattamento. Ogni punto nascita e di assistenza al neonato dovrebbe, infatti, “praticare il rooming-in, permettere cioè alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale”, si legge nel documento.
Deve però essere inteso come un’opportunità e “non come una imposizione e deve essere proposto senza regole rigide, lasciando alla mamma la libertà di scegliere se e per quanto tempo adottarlo”, spiegano dalla Uppa. “In questo svolge un ruolo importante il personale sanitario, che si prende cura del bimbo o della bimba quando la mamma non se la sente, sostenendo e incoraggiando quest’ultima nei momenti di contatto con il neonato”.
Esistono, infatti, dei rischi associati al rooming in, come per esempio il fatto che il continuo contatto con il figlio possa essere per la madre stremante. In questi casi, la donna potrebbe sentirsi sola nell’affrontare le nuove difficoltà, viste anche le restrizioni dovute alla pandemia che hanno avuto un impatto notevole sulle neomamme, ed è proprio qui che serve un maggior sostegno da parte della struttura ospedaliera.
Tenendo conto dei suoi effetti positivi, secondo la Società italiana di neonatologia, il rooming in dovrebbe essere proposto come routine da parte del centro nascita. “Mamma e bambino nel periodo intercorrente fra nascita e dimissione dall’ospedale vanno quindi separati quanto meno possibile”, precisano dalla Sin. “Il Nido va però mantenuto come servizio complementare per le situazioni di reale bisogno e per rispondere ad eventuali temporanee richieste delle puerpere che desiderano o devono delegare al personale l’accudimento diretto del proprio figlio”.
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