Le tasse, le pensioni, il lavoro, la sanità…ammesso e per nulla concesso che si voglia e si riesca ad essere fratelli, tutti i calcoli, progetti, richieste, pretese, pretesi diritti in materia vengono fatti senza contare che, senza figli d’Italia, non si cantano messe economiche. Una comunità dove ogni mille abitanti quelli che muoiono battono 12 a 7 quelli che nascono e dove l’età media (media!) è sopra i 45 anni è una comunità che si avvia, presto, a dove rifare, in peggio, i conti della sue tasse, pensioni, lavoro, sanità…
E’ difficile, quasi impossibile, far deglutire un ragionamento complesso, figurarsi uno contro intuitivo. Domandate: se gli italiani diventano 40 milioni invece degli attuali scarsi 59 c’è più “roba” a disposizione per ciascuno che resta? Sei volte su 10 la risposta sarà sì. Un sì che poggia sulla certezza, ormai culturale, che risorse e ricchezza disponibile, prodotta e da distribuire siano quota ed entità fisse, variabili indipendenti. Quindi, con meno a dividere.. Domandate: mandando gente in pensione per ogni nuovo pensionato si verifica nuova assunzione sostituzione? Nove volte (abbondanti) la riposta sarà sì, certamente sì. E invece non succede mai. Perché l’idea, intuitiva ma infondata nella realtà, è quella che i posti di lavoro siano quantità fissa: uno esce, altro entra.
Nella realtà non è così: i posti di lavoro sono quantità e materia mobile e non fissa e un pensionato non significa automaticamente la necessità, ovvietà, indispensabilità, utilità di un nuovo assunto al suo posto. Per il semplice (ma inaccettabile al senso comune) che il “sup” posto in quanto tale nella realtà non esiste. Dal pensionare uno può venire assunzione zero o due. O, più spesso e più realisticamente, il pensionamento progressivo di quelle mansioni e la richiesta di lavoro diverso da quello di prima. Neanche qui, ella realtà dell’economia, un vale uno.
Ma sindacati, governi, partiti politici e senso comune sono stolidamente convinti di trovarsi di fronte ad entità fisse e avvinti ad ogni graticcio di questa illusione (illusione pigra, una delle tante del must: difendere, difendere, difendere…). Allo stesso modo, dalla stessa astenia socio culturale, è sostenuta l’idea che in demografia ci si trovi di fronte ad entità, quantità fisse e che quindi le misure pro natalità possano agire ed avere efficacia in progressione lineare. Ad esempio: più asili nido uguale più donne che fanno figli. Poi nella realtà il link lineare funziona poco o nulla. Perché la demografia è processo e processo spesso esponenziale.
Fatta base 100 umani, supponiamo le donne fertili (a grandi linee tra i 16 e i 48 anni) siano 40 o anche più. E’ quanto accade in popolazioni complessivamente giovani. Quaranta donne fertili con una media di due figli ciascuna daranno 80 nascite, compatibili con una mortalità standard. Ma se la popolazione base 100 umani di questi 25 e passa sono sopra i 65 anni (caso Italia), allora le donne fertili saranno non 40 su 100 ma 20/25 su cento. Attualmente poco più di un figlio ciascuna nella vita, quindi 20/25 nuovi nati che non reggono il tasso di mortalità (appunto 12 morti ogni sette nati). Questo più o meno si sa, quel che non si calcola, che il senso comune non calcola è che al prossimo giro demografico, quello della generazione post numero donne fertili tra 20 e 25 su cento. le donne fertili saranno ancor meno. E al giro successivo, ancora meno. Supponendo in astratto una popolazione con percentuale donne fertili intorno al 30 per cento del totale della popolazione, al primo “giro” sono appunto trenta.
Ma se al secondo “giro” la popolazione complessiva diventa 95, il 30 percento di 95 non è più trenta ma circa 28,5. E, di “giro in giro”, aumenterà la percentuale della popolazione femminile in età non più fertile rispetto alla popolazione femminile in età fertile. Proprio quel che si vede nelle strade e nelle case italiane. Per cui il meno siamo meglio stiamo qui da noi è quanto mai sballato: il meno riguarda quelli che possono produrre risorse, innovazione, figli. Il più riguarda coloro che, non fosse altro che per ragioni anagrafiche, hanno bisogno delle risorse e certamente non fanno quei figli che quelle risorse potrebbero produrre.
L’Istat ci ha appena detto che nel 2022 sono nati in Italia appena 393 mila bambini, mai così pochi figli d’Italia da 160 anni. La parabola della donna fertile ci dice che se provassimo a invertire la rotta della demografia italiana per vedere gli effetti della virata ci vorrebbero decenni. Decenni? E chi glielo dice ad una politica, ad una società, ad una cultura dii massa, ad una gente che quando sente la parola “domani” sempre reagisce con un “a me che me ne viene oggi, massimo stasera?”.
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