Parroco caccia da messa cane e padrone, animalisti lo denunciano. Ma una chiesa è forse un centro sociale?

A proposito di diritti, o diritti presunti tali, negati. Una chiesetta antica del borgo San Pietro Viminario in provincia di Padova, la scena del crimine. Un parroco, il cane Toni e il suo padrone, le dramatis personae, i protagonisti cioè di questo dramma consumatosi alla messa della domenica.

I fatti: quando in chiesa si presenta un uomo accompagnato dallo scodinzolante amico a quattro zampe, il parroco non si limita a guardare entrambi, come dire, in cagnesco. Tutt’altro: si attacca al microfono e intima ai due di sloggiare. Seguono diverbio in loco e polemiche social. Nella faccenda presto s’infila l’associazione Aidaa, che difende i diritti degli animali.

Che annuncia un esposto contro il prete, nientemeno per accusarlo di istigazione al maltrattamento di animale e violenza privata.

Leggiamo: “Quel cane era buono e tranquillo e non stava facendo nulla, perchè cacciarlo dalla chiesa? Il codice canonico non vieta l’ingresso dei cani in chiesa e l’atteggiamento del prete che lo ha cacciato, insieme al suo padrone, addirittura citandolo dal microfono merita a nostro avviso un approfondimento giudiziario, ecco perchè abbiamo deciso di presentare un esposto ipotizzando i reati di violenza privata e maltrattamento di animali a carico del don”.

Di nuovo, a propositi di diritti, o diritti presunti tali: ma un parroco non è padrone in casa sua, la parrocchia è assimilabile a un parco pubblico o a un centro sociale?

 

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Warsamé Dini Casali