Una recente decisione della Corte di Cassazione riguardante il caso di una donna che offrì sesso a un poliziotto per evitare l’arresto ha suscitato dibattiti e polemiche. Il caso, avvenuto durante un controllo delle forze dell’ordine a Cassino, ha portato alla ribalta la questione della corruzione e della resistenza a pubblico ufficiale. La donna, appena arrestata durante l’operazione antispaccio, avrebbe tentato di persuadere l’agente a lasciarla libera in cambio di un rapporto sessuale. Tuttavia, l’agente ha rifiutato e l’accusa di istigazione alla corruzione è stata respinta in seguito a una serie di udienze e ricorsi.
La decisione della Cassazione si è basata sull’assenza di prove concrete che confermassero la reale intenzione della donna di corrompere l’agente. Inoltre, il comportamento dell’agente stesso durante il processo ha influenzato la decisione della Corte. Il fatto che non sembrasse turbato psicologicamente dall’accaduto durante la testimonianza ha portato gli ermellini a dubitare della credibilità dell’accusa. Di conseguenza, la donna è stata condannata solo per resistenza a pubblico ufficiale, con una pena di sei mesi. La Corte ha interpretato l’offerta della prestazione sessuale come una provocazione, piuttosto che un vero tentativo di corruzione. Questa decisione solleva interrogativi sul confine tra corruzione e provocazione, e sulla necessità di prove concrete per sostenere tali accuse.