Scoperto positivo all’esame antidroga, viene sospeso dal lavoro perché il suo “atto volontario” pesa sull’organizzazione del lavoro. Il giudice però lo reintegra, ritenendo che debba essere tutelato nel suo percorso di riabilitazione. L’azienda non ci sta, e proporrà ricorso in Cassazione. E non è una società qualunque, ma la multiutility di Venezia, Veritas, partecipata dall’amministrazione comunale.
La materia è delicata: in questo caso il datore di lavoro svolge servizi pubblici locali essenziali, come l’igiene urbana, il servizio idrico e i servizi cimiteriali. Di fronte alla positività del dipendente agli esami periodici previsti, non ha ritenuto corretto ricollocarlo in altre mansioni, perché ritiene ‘ci sia una responsabilità del lavoratore, che ha fatto pesare le proprie scelte di vita sull’organizzazione del lavoro e – aggiunge Veritas – anche sulla cittadinanza’.
La società aveva collocato il dipendente in ferie, per quanto ha potuto, sospendendolo dall’attività e dalla retribuzione solo per il tempo strettamente necessario, in attesa del recupero della negatività ai test. Secondo Veritas l’interesse è aziendale e della sicurezza del lavoro, e in più c’è l’interesse pubblico collettivo, che devono trovare un bilanciamento con l’interesse “privato” del dipendente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, che incidono sulla sua capacità lavorativa.
Anche la ricollocazione, secondo Veritas, va ottenuta in sicurezza per sé, per gli altri e per i colleghi, e la prestazione comunque non può svolgersi in uno stato di non lucidità o di alterazione. Veritas è stata assistita dagli avvocati Andrea Bortoluzzi e Marta Molesini, dello studio Toffoletto De Luca Tamajo e soci, secondo i quali “si tratta di un tema di frontiera, anche se molto diffuso nella società di oggi, dove queste sostanze circolano con grande facilità.
Il datore deve rispettare la privacy e le scelte di vita dei propri dipendenti, ma non può essere costretto a subire le conseguenze negative di queste scelte, soprattutto quando incidono su un’organizzazione destinata a rendere un servizio pubblico”. I legali aggiungono che “chi intende assumere sostanze che lo rendono impossibilitato allo svolgimento della mansione affidata non può essere ‘premiato’ garantendogli comunque la retribuzione, o imponendo al datore di lavoro di modificare la propria organizzazione”.