Bujar Bucai è uno dei primi soccorritori giunti sul posto in cui è caduto il bus dal cavalcavia di Mestre. Un volo di 15 metri che ha provocato la morte di 21 persone e i lferimento di 15. Bucai, prima che arrivassero i soccorsi si è messo al lavoro estrendo, a mani nude, alcuni feriti.
Bujar Bucai non è stato l’unico “angelo”. Con lui c’erano anche altre persone tra cui il gambiano Boubacar Toure e l’amico nigeriano Godstime Erheneden.
Bucaj è un cittadino kosovaro di 43 anni che vive in Italia da 25 anni. Ha un bar che si trova tra gli alberghi adiacenti alla stazione. Il 43enne, dopo aver visto quanto accaduto ha scavalcato le recinzioni, attraversato di corsa i binari e ha nuovamente “scalato” un traliccio, per riuscire a salvare due bambini dal pullman caduto dal cavalcavia.
Oggi, a mente fredda, racconta lo sconcerto di fronte a quanti hanno raggiunto in fretta e furia la postazione migliore per inquadrature e riprese più dettagliate. Qualcuno estraendo anche obiettivi professionali. “Nessuno è venuto a darmi una mano”. Nonostante le sue richieste d’aiuto, nessuno è intervenuto in quei primissimi istanti in cui il pullman doveva ancora essere avvolto dalle fiamme.
Al Messaggero, Bucaj ha raccontato: “Continuavano a scattare foto e a girare video con il cellulare piuttosto che accorrere. Mi chiedo come possano sentirsi ora, consapevoli che avrebbero potuto intervenire ma che in realtà non l’hanno fatto. E questo è per me un dolore grande: potevano fare di più e chissà, magari salvare qualche vita”.
Stefano Gavazzi è un imprenditore veneziano. Gavazzi era presente proprio nel bar di Bujar Bucaj nel momento della tragedia. E’ stato lui il primo a contattare il 118, lanciando l’allarme. Oggi si pone questo interrogativo: “Riprendere tutto con lo smartphone. Perché ora non si è più capaci di fermarsi nemmeno di fronte alla morte? Bujar gridava di andare a dargli una mano, ma tutti stavano fermi, con il cellulare in mano”, riferisce Gavazzi.
L’imprenditore racconta ancora: “Evidentemente è più importante riprendere e farsi un bel selfie sul luogo della tragedia, anziché salvare una vita. Piuttosto che fare qualcosa di realmente utile per gli altri. Meglio una fotografia macabra, invece che poter dire: ‘Ho fatto il possibile per salvare qualcuno’. Un’esposizione e vetrina dell’orrore, che non fa che ritorcersi contro a chi per primo la produce. Non mi sarei mai aspettato una situazione del genere”.
Gavazzi conclude: “C’era la gara a chi aveva il cellulare più vicino al luogo dello schianto. Solo una persona, dal cavalcavia, ha lanciato un estintore. Per il resto tutti lì, immobili”.
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