Gli “spazi di libertà” possono “alleviare la patologia neurologica” di Renato Vallanzasca, che ha trascorso un “lunghissimo periodo” in carcere e ha “necessità” di “strutturare” un “percorso di risocializzazione che ad oggi sembra essere stato intrapreso con serietà”.
Lo scrive il Tribunale di Sorveglianza di Milano nel provvedimento con cui ha concesso un “permesso premio di dodici ore” al 74enne, ex boss della banda della Comasina, da trascorrere in una comunità terapeutica, accompagnato dall’amministratore di sostegno, un imprenditore e volontario, suo amico.
Una decisione, quella arrivata oggi dopo l’udienza di ieri a cui ha preso parte anche Vallanzasca, che consentirà alla difesa, poi, di richiedere e ottenere altri permessi per farlo andare nella comunità, come accadeva, almeno una volta a settimana, fino allo scorso marzo, quando l’ordinanza di un giudice li aveva bloccati.
Il magistrato nel provvedimento di revoca aveva fatto presente che le sue condizioni fisiche e psichiche erano tali che quella comunità non gli poteva più garantire l’assistenza necessaria. Quei permessi, però, hanno ribadito davanti ai giudici (i togati Di Rosa-Caffarena) gli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi, “sono per lui una terapia, per mettere in moto cervello e parola”.
E sarebbero anche funzionali, secondo i legali, per fargli mettere piede in una struttura di cura, dove poi potrebbe essere trasferito definitivamente. La difesa, infatti, presenterà a breve un’istanza di differimento pena, con detenzione domiciliare in un luogo di cura. Una prima richiesta di questo tipo fu respinta nel maggio del 2023. I giudici, che hanno accolto il reclamo dei difensori, riconoscono che Vallanzasca, detenuto da oltre 50 anni con “fine pena mai”, è malato e che ha, per la patologia di cui soffre, problemi di tipo “comportamentale, con confusione ed agitazione”.
Tuttavia, non sono mutate le condizioni che, nel maggio dello scorso anno, avevano portato a ripristinare i permessi, che si sono sempre svolti “senza problematiche”. E, in sostanza, uscire per andare nella comunità favorisce l’interazione del 74enne con altre persone. La sostituta pg Rossana Penna, invece, aveva chiesto alla Sorveglianza di rigettare il reclamo.
Tra l’altro, in una relazione acquisita dalla difesa, l’equipe di medici del carcere milanese di Bollate, dove è detenuto l’ex protagonista della mala milanese degli anni ’70 e ’80, viene spiegato che l’ambiente “carcerario” è “carente nel fornire” le cure e gli “stimoli cognitivi” di cui ha bisogno e per questo andrebbe trasferito in un “ambito residenziale protetto”, in un “luogo di cura esterno”, data la sua “patologia”.
I legali puntano proprio sulle annotazioni mediche e anche sul lavoro dei consulenti per fare in modo che ora possa scontare la pena in detenzione domiciliare in una struttura. Gli esperti psicologi e neurologi (Zago, Preti e Sciacco), nominati dagli avvocati, parlano di un “quadro cognitivo e comportamentale deficitario”, di un “processo neurodegenerativo irreversibile”.