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Roma Gra, 6 febbraio: “Senti che callo…”. Quel che sente chi filma l’uomo che brucia vivo

Lo si riporta nelle cronache come circostanza se non eccezionale di certo inconsueta, come un caso di “uomo morde cane” e quindi fuori dalla norma e abitudine e non di “cane morde uomo” e quindi prevedibile, presumibile, consueto. Temiamo questa classificazione sia ormai una pietosa bugia. Pietosa quanto sbrindellata nel suo far da velo alla realtà. Lo si riporta così l’accaduto, anzi il documentato, anzi il postato. Roma, Grande Raccordo Anulare (entità al tempo stesso graniticamente oggettiva quanto mitologico luogo di contemporanea socialità) giorno sei di febbraio dell’anno 2023.

Sul Gra un incidente, un grave incidente stradale le cui specifiche qui verranno negate all’occhiuto soffermarsi sullo spettacolo (qualunque cosa se ne pensi e qualunque sia l’istinto o la cultura che le determinano, file di auto in rallentamento-sosta-contemplazione e/o folle di curiosi sempre si addensano intorno alla potenziale vista da vicino di lamiere metalliche o membra umane contorte e spezzate). Si sviluppa un incendio, un uomo viene avvolto dalle fiamme dell’incendio.

Tra salvare e non salvare c’è…filmare

Il coraggio di andare a salvare un uomo che sta bruciando non è automatico, tanto meno obbligatorio trovarselo nell’anima e nella testa. La paura, l’esitazione, l’auto conservazione sono umanissimi riflessi ed emozioni. Ammesso che esista una misura non statisticamente definita dei comportamenti “normali” di fronte ad altro essere umano che sta morendo bruciato vivo, la gran parte della gente “normale” che dovesse trovarsi in questa situazione rimarrebbe probabilmente paralizzata, incapace di agire e di voler agire.

Non che nessuno tenterebbe di salvare rischiando lui stesso danno dall’incendio, forse qualcuno lo farebbe. Ma tra i “normali” i più resterebbero fermi. Magari gridando, piangendo, distogliendo lo sguardo. Fermi, paralizzati, incapaci di agire e di voler agire. E non sarebbe certo una colpa. Ma è ormai tempo di prendere atto che non è più così, ora è il tempo in cui i “normali”, i più tra la gente normale non restano paralizzati. Tanto meno incapaci di agire e di voler agire. E neanche piangono, tanto meno distolgono lo sguardo. Magari qualcosa gridano…

“Senti che callo mamma mia…”

Callo è il suono in romanesco di caldo, della parola caldo. Caldo è quello che sente chi sta filmando l’uomo che brucia vivo. Senti che caldo è la sensazione e il sentimento che prova mentre, non è solo, stanno facendo un video dell’uomo che brucia vivo. Forse sono consapevoli che stia bruciando vivo e forse no, la certezza di ciò che è la affidano e delegano allo smartphone. Così fanno i “normali” di fronte a qualsiasi spettacolo o avvenimento, lo fruiscono via smartphone, è pieno di gente che guarda la partita vis smartphone stando allo stadio.

Tirar fuori lo smartphone e inquadrare è reazione normale, normale gesto e abitudine di fronte all’incidente, stradale o quanto altro che sia. Gli eroi che si tuffano in acqua a salvarti a rischio di affogare o che cercano di tirarti fuori dalle fiamme a rischio di ustionarsi sono pochi e nessuno è obbligato a farsi eroe. Svanito chissà dove il pudore di ritrarsi, di sottrare se stesso alla vista del dolore, del sangue, forse della morte. Quindi, regolarmente, normalmente ci si fa un video. Verrà buono per mille usi, sarà oggetto di scambio e consultazione. Il video come prova provata che quella volta il caso ti ha assegnato un posto in prima fila.

Tutto questo è ormai “cane morde uomo” e non “uomo morde cane”. Ma il provare e soprattutto segnalare il “callo che fa” di fronte e filmando un uomo che brucia è decisamente una nuova frontiera, la manifestazione di esistenza in vita di un prolifico e contagioso ibrido antropologico. Quella di un Narciso tanto obeso quanto inconsapevole della sua crudeltà e ignorante tanto da ignorare la sua stessa crudeltà. E con tante scuse a Narciso.

Mino Fuccillo

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