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Saman ieri avrebbe avuto 21 anni: ergastolo per il padre e la madre, 14 anni allo zio. Assolti i cugini

Ergastolo per il padre Shabbar Abbas e per la madre Nazia Shaheen. Quattordici anni allo zio, Danish Hasnain. Assolti i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq, di cui è stata ordinata l’immediata liberazione. Lo ha deciso la Corte di assise di Reggio Emilia nel processo sull’omicidio della 18enne Saman Abbas, dopo quasi cinque ore di camera di consiglio.

Saman: ergastolo per il padre e la madre

Sono usciti dall’aula in lacrime, abbracciando i loro difensori, i due cugini di Saman assolti dalla Corte  Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz erano detenuti, dopo essere stati arrestati all’estero. Per loro il dispositivo della sentenza non prevedede alcun risarcimento.

Shabbar Abbas, il padre di Saman condannato all’ergastolo, ha invece lasciato l’udienza senza parlare, subito dopo la lettura del dispositivo.

La storia della ragazza pachistana che si sentiva italiana

Ieri Saman Abbas avrebbe compiuto 21 anni. Oggi la storia di amore e di morte della ragazza pachistana che si faceva chiamare ‘italian girl’ arriva a una prima sentenza. Nata il 18 dicembre 2002 nel villaggio di Mandi Bahauddin, è stata uccisa a 18 anni, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, a Novellara, nella bassa di Reggio Emilia dove la famiglia si era trasferita per coltivare la frutta.

Saman e non solo Saman, vittima e simbolo nella violenza contro le donne e contro una concezione antica e distorta dei rapporti familiari, fatta di soprusi, controlli e costrizioni. Saman, inconsapevolmente sovversiva, come l’ha definita il procuratore di Reggio Emilia Calogero Paci, nella sua requisitoria.

Nella sua vita ci sono state la fuga da casa e i ripensamenti, il desiderio di indipendenza, le confidenze agli assistenti sociali, la ribellione alle tradizioni della famiglia che la voleva sposata a un parente in patria, i contrasti, le paure, le violenze, le funeste previsioni, ma anche le speranze di libertà, i sogni di una normalità col fidanzato.

La foto dei due giovani che si baciano

Una foto dei due giovani che si baciano, per le strade di Bologna, è stata una tra le scintille, per l’accusa, che hanno portato al suo assassinio. Dopo la sua scomparsa ci sono state le ricerche, durate un anno e mezzo fino al ritrovamento del cadavere, in una fossa scavata nella terra, dentro un casolare diroccato a mezzo chilometro da casa.

Lì dove tutti l’avevano cercata ma nessuno l’aveva trovata, nonostante l’impiego di uomini, risorse e sofisticati strumenti. Ben prima però si era capito che la diciottenne non era solo sparita e le indagini dei carabinieri si erano concentrate sui familiari.

Il giorno dopo il delitto la fuga in Pakistan dei genitori

Il primo maggio 2021, il giorno dopo il delitto, i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, erano volati in Pakistan. I primi a essere individuati sono stati gli altri tre parenti, fuggiti in Europa tra Francia e Spagna.

Il cugino Ikram Ijaz (fine maggio 2021 su un pullman francese), poi lo zio Danish Hasnain, 22 settembre, a Nord di Parigi, e quindi l’altro cugino, Nomanhulaq Nomanhulaq, a febbraio 2022, a Barcellona. Il padre è stato arrestato a novembre di un anno fa, e proprio pochi giorni dopo lo zio, dal carcere, ha deciso di farsi avanti per indicare dove era stato sepolto il corpo della nipote.

Prima estradizione dal Pakistan in Italia

Poi dopo decine di rinvii, quando il processo era già iniziato, è arrivato anche un risultato mai registrato in precedenza: l’estradizione di un cittadino pachistano concessa dal suo Paese all’Italia. A inizio settembre Shabbar è stato consegnato ai carabinieri italiani, portato in Emilia e ha iniziato a prendere parte alle udienze.

La moglie Nazia rimane l’unica latitante ma gli investigatori reggiani non intendono mollare. Davanti agli imputati e ai giudici si sono presentati gli investigatori, i periti, che hanno decretato prima l’identità certa del corpo, riconoscendola dai denti, da un sorriso in una foto. Poi la causa della morte, per strangolamento o strozzamento.

Hanno testimoniato i vicini, gli assistenti sociali e altri parenti. Personaggi cruciali sono stati due giovani, in modo diverso legati alla vittima. Il fidanzato e il fratello. Quest’ultimo, ora diciottenne, ha resistito per tre udienze alle domande di magistrati e avvocati. A tratti cedendo ma senza mai crollare, ha ribadito le accuse contro i suoi familiari. “Voglio dire tutta la verità, per dare giustizia a mia sorella”, ha spiegato. 

Warsamé Dini Casali

Blitzer della prima ora, cerco di interpretare le notizie senza litigare con i fatti. Relativista tiepido, credo in un’informazione libera ma non nel mito della sua presunta neutralità. Considero il giornalismo online un’opportunità e una sfida: senza rischi che gusto ci sarebbe?

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