Spid a rischio chiusura da aprile 2023. Per quella data scadranno le convenzioni per la gestione dell’identità digitale. Accordi in realtà sono scaduti a fine 2022 e prorogati d’ufficio fino ad aprile dall’Agenzia per l’Italia digitale (Agid). Lo scorso lunedì, il direttore generale di Agid, Francesco Paorici, ha incontrato le aziende che hanno ribadito le richieste avanzate nei giorni scorsi in una lettera al sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti. Vogliono 50 milioni per continuare ad operare.
I gestori chiedono queste risorse per poter abbattere i costi e servire al meglio i servizi di assistenza. Spid viene regolarmente usata da 33 milioni di cittadini e 12 mila Pubbliche Amministrazioni. Il Governo non ha però mai creato le condizioni favorevoli a far sì che lo Spid creasse flussi di cassa per le aziende che gestiscono il servizio. Se non si troverà un accordo tra le parti, da fine aprile Spid potrebbe spegnersi.
Nella riunione con Agid, Assocertificatori che rappresenta i fornitori del 95% dei servizi digitali come Spid, Pec e firma elettronica, ha avuto il sostegno anche del restante 5% di gestori che non ne fanno parte. Tra i soci ci sono Aruba e Poste. Quest’ultima da sola ha circa il 76% dei profili Spid rilasciati. “Siamo disposti ad accettare un’ulteriore proroga di alcuni mesi, a patto che ci sia la volontà politica di affrontare il problema della sostenibilità economica del sistema. Siamo disponibili a collaborare per definire insieme una strategia” dichiara il presidente di Assocertificatori, Carmine Auletta, al Corriere della Sera.
Auletta chiede un fondo ad hoc per coprire costi e investimenti: “Quando è nato Spid, 8 anni fa, il legislatore aveva stabilito un principio. L’infrastruttura avrebbe dovuto essere gratuita per i cittadini e per la Pubblica Amministrazione e sarebbe stata finanziata con i flussi di cassa dei provider che avrebbero dovuto essere ripagati dalle transazioni dei privati. Abbiamo chiesto più volte di promuovere l’utilizzo dello Spid uso professionale e persona giuridica a pagamento. Abbiamo proposto di creare un sistema di crediti di imposta per incentivare i service provider privati, ma non si è fatto nulla”. Nella lettera al sottosegretario Butti, i gestori chiedono un fondo dedicato per coprire i costi del servizio e gli investimenti in innovazione da 50 milioni di euro. Chiedono anche di essere coinvolti nella strategia del Governo per il futuro dell’identità digitale in Italia. Guardano con preoccupazione e perplessità l’idea di far confluire in un sistema unico in cui far confluire Spid e carta di identità elettronica (Cie).
Butti, dal canto suo aveva assicurato al Corriere di non voler eliminare l’identità digitale spiegando di volerne una sola, nazionale e gestita dallo Stato. Un po’ “come quella che gli italiani portano nel loro portafogli dal 1931” aveva detto il sottosegretario. Butti aveva spiegato che averne una sola serve a semplificare la vita digitale dei cittadini, aumentando nel contempo la sicurezza, rendendo più accessibili i servizi digitali. Ed anche a risparmiare “perché Spid ha un costo per lo Stato”.
Con la Cie serve tuttavia una carta fisica per accedere al mondo digitale. Cosa che, a detta dell presidente di Assocertificatori è “anacronistico, in un periodo storico in cui le carte di credito si smaterializzano per confluire all’interno del nostro smartphone”. Per coprire i costi, nel 2022 l’Agid aveva proposto un’erogazione una tantum di un milione di euro da spalmare tra tutti. Cifra che secondo le aziende avrebbe consetito di pagare a malapena i costi di aggiornamento professionale degli operatori dei call center. La nuova richiesta dei gestori è di 50 milioni di euro. Cifra di gran lunga inferiore ai risparmi per lo Stato e le Pubbliche amministrazioni, assicurano.
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