Invalsi, si comprende perché i sindacati della scuola e più in generale la pedagogia dello studio e apprendimento senza mai fatica e competenza ne rifuggano il contatto. Invalsi, che il suo misurare non sia mai applicato. Anzi che il misurare stesso sia tenuto lontano come “non inclusivo”. Si comprende, perché ad ogni misurazione corrisponde non il disastro contingente ma la rovina complessiva, quasi istituzionale, del cosiddetto percorso della formazione, insomma la scuola in ogni ordine e grado (rovina che prosegue poi, nelle debite e peculiari forme, nel sistema universitario).
L’ultima verifica (basata su standard di prestazioni minime) attesta che uno studente su due della superiori non raggiunge il livello minimo sufficiente a comprendere il senso delle parole che pure legge in un testo in lingua italiana. Insomma un adolescente su due di quelli che vanno a scuola non è in grado di concettualizzare, cioè pensare per concetti, cioè pensare. Analogamente e contemporaneamente la stessa percentuale di studenti scolarizzati non è in grado di far di conto se non a livello minimo. Uno su due è di fatto analfabeta quanto a concetti e rapporti matematici. Uno su due di quelli che tra pochissimo saranno gli adulti. Gli adulti cittadini, elettori, consumatori, professionisti, lavoratori, influencer, politici, amministratori, avvocati, commercianti…Uno su due è analfabeta scolarizzato. Uno su due degli adulti che presto saranno tali.
Non soffriranno di solitudine per la loro condizione, sono già il 50 per cento e andranno ad inserirsi tra i già adulti. Quelli che già oggi fanno gli influencer, gli avvocati, i commercianti, i politici, i sindacalisti, gli operai, gli impiegati, i cantanti, i giornalisti…I già adulti che, come gli studenti adolescenti, uno su due non è in grado di declinare o percepire un concetto, uno su due legge ma non capisce, letteralmente non sa capire. La differenza tra i già adulti e coloro che presto lo saranno? Per i già adulti non c’è un Invalsi che misuri. O meglio, ce ne sono molti e quotidiani. Operano nei social, in tv, nella comunicazione e colonizzano il senso comune. Misurano la desertificazione, praticano e celebrano la liturgia del pensiero arido. E lo chiamano consenso, popolarità, inclusione.
La scuola e oltre la scuola
Qualunque impresa umana che riscontrasse un 50 per cento di fallimenti nella sua azione verrebbe dalla stessa umana comunità messa in condizioni di non nuocere. Non la scuola italiana. Perché da molto tempo la sua missione istituzionale non è quella della trasmissione del sapere, delle competenze, tanto meno quello della formazione di cittadinanza consapevole. La missione della scuola italiana è offrire un posto di lavoro a basso salario a mano d’opera sempre meno qualificata. Unita questa all’altra missione: offrire alle famiglie diritto e campo di potere e azione alla loro incompetenza. Le due missioni hanno una pre condizione comune: abbassare l’asticella della prestazione professionale e culturale al minor livello possibile, anzi se possibile meno del possibile. A sostegno delle missioni e collante della pre condizione una socio-pedagogia che demonizza, se non proprio bandisce, fatica dello studio e considera immorale, sì immorale, la gioia dell’apprendimento e del possesso delle competenze.
La scuola italiana nei sui esiti misurati da Invalsi è a misura e specchio della reale società italiana. Società indisponibile nelle sue componenti (insegnanti, genitori, sindacati, politica, comunicazione) a investire non soldi ma risorse morali e intellettuali nello studiare e apprendere, a costruire su questo un sistema di valori sociali ed economici.
Se mai ce ne fosse bisogno, di questa indisponibilità ce n’è prova fornita in maniera quasi istintiva. Simmetricamente all’analfabeta scolarizzato che sa leggere ma non sa capire quel che legge, la politica, la comunicazione e il senso comune per così dire alto e basso sanno leggere i dati della desertificazione del concettualizzare e dell’avanzamento del pensiero arido ma non capiscono quel che leggono e quindi inventano e offrono l’alibi del Covid, degli anni in cui la scuola si ammalorò di dad. Dad da Covid alibi per chi? Per se stessi. Alibi per prof, presidi, sindacati, partiti politici, governi, giornali, televisioni, social, famiglie, sociologia e pedagogie e populismi colti e plebei tutti uniti nel saltare sul carro dell’inclusività senza se e senza ma per farci salire sopra, neanche più di contrabbando, l’arroganza dell’ignoranza informata e scolarizzata.