“Non ci sono dubbi che mio figlio sia stato vittima di cyberbullismo. Non c’è bisogno nemmeno di presentare una denuncia, è talmente chiaro, i carabinieri sanno già tutto. C’è una inchiesta e non posso trovare io i responsabili, ma basta guardare TikTok per capire chi è stato e cosa è successo. Deve essere fatta giustizia”.
L’inchiesta a Bologna
Non usa giri di parole il padre del 23enne bolognese, conosciuto con il nickname di Inquisitor Ghost (nome tratto dal personaggio di uno dei più noti videogame di guerra, Call of Duty), che lunedì sera si è suicidato in diretta social.
Lui, come molti utenti della piattaforma cinese, sono convinti che il 23enne si sia tolto la vita perché vittima di cyberbullismo, dopo le false accuse di pedofilia partite da una ragazza turca di 17 anni, che sulla piattaforma si era finta maggiorenne, e da un altro tiktoker, che avrebbero scatenato una gogna mediatica.
Sulla vicenda la Procura di Bologna ha aperto un fascicolo conoscitivo, al momento non si ipotizzano quindi reati né risultano indagati. E’ stato per primo il padre del ragazzo a parlare ai carabinieri del cyberbullismo dietro il suicidio del figlio.
Una pista che gli investigatori seguiranno analizzando i device del 23enne, che sono stati sequestrati, e cercando di risalire ai presunti responsabili da cui sarebbe partito tutto.
In Procura i carabinieri hanno già inviato due informative, l’ultima oggi, e oltre al padre i militari hanno parlato anche con altre persone arrivate a casa del 23enne subito dopo la tragedia.
300mila follower sul suo profilo TikTok
Su TikTok, dove il ragazzo aveva quasi 300mila follower, alcuni utenti hanno già ricostruito tutta la vicenda, puntando il dito contro la minorenne e il suo ‘complice’.
In rete girano anche le presunte conversazioni tra i due, dove la giovane viene invitata non solo a flirtare con la vittima, ma a fare sexting con lui.
“Mio figlio era introverso, non depresso, e fino a 10 giorni fa stava attraversando un bel periodo, poi improvvisamente è cambiato. Con me ha sempre minimizzato quello che gli stava capitando, fino alla fine.
Quella sera ci siamo sentiti mezz’ora prima che succedesse tutto. Mi aveva parlato di una violazione della sua privacy, non di accuse social di pedofilia, altrimenti sarei intervenuto subito”. La pressione e gli attacchi sui social diretti al 23enne lo avevano costretto a chiudere i suoi profili.
Per il padre è fin troppo chiaro quello che è successo
“Perfino quello dove pubblicizzava il suo lavoro di tatuatore – spiega il padre – e pensare che tanti utenti di TikTok ora mi stanno scrivendo per raccontarmi come mio figlio li ha aiutati a non mollare nei momenti bui. Nonostante questo in tanti lo hanno massacrato per avere visibilità”.
Per il genitore “è chiaro” quello che è successo. “Lui con questa ragazza turca non aveva nemmeno interagito, l’ha bloccata subito. Ma sui social girano screenshot di false conversazioni tra loro due, ripubblicate più volte da diversi utenti. Alcuni di loro, italiani, mi hanno chiesto scusa per quello che hanno fatto, dicendo che sono stati costretti altrimenti sarebbero finiti anche loro nella gogna mediatica scatenata da queste persone”.