Se malauguratamente subisci uno scippo o un borseggio hai diritto che chi ti paga lo stipendio, la pensione, la parcella professionale o l’acquisto di una merce nel tuo negozio o impresa ti rimborsi di quei soldi perduti? Ovviamente no, quel diritto non c’è. Come non c’è il diritto ad essere rimborsati dei soldi eventualmente smarriti. Se altrettanto malauguratamente vieni truffato da qualcuno che ti convince a comprare “a prezzi di favore” qualcosa di avariato o inservibile, se invii soldi ad un fantomatico generale americano in Iraq tanto innamorato di te via web, se spedisci denaro a chi custodisce in casa madonnine piangenti, se acquisti sedicenti medicinali fintamente miracolosi…In tutti questi se (molti ne sono possibili e frequenti) sei riparato e risarcito dal diritto al rimborso dei soldi perduti? Ovviamente no e poi chi mai ti dovrebbe risarcire e rimborsare? Il contribuente? Però da non poco tempo e con non poca virulenza si è sviluppata una cultura del rimborso garantito e dovuto. Perché? Perché non è mai colpa tua ma sempre di qualcun altro e soprattutto il danno di ciò che fai non deve mai essere tuo ma sempre girato il danno a qualcun altro.
Gli investimenti, i soldi non sul conto corrente ma investiti in azioni, obbligazioni, fondi comuni, assicurazioni. Regolare e massiccia è la tentazione, spesso la pretesa, non di rado il successo del voler rimborsati i soldi che eventualmente si perdono. Il postulato secondo il quale ogni investimento deve per diritto naturale essere remunerativo e la perdita invece è per così dire “illegale” trova parecchi adepti e sostenitori e…sviluppatori. Fosse fondato il postulato per cui guadagno è natura e legge e perdita è infamia e reato, allora tutti e sempre per natura e legge sulla via della ricchezza.
Ma così è e l’idea dell’investimento che non comporta altro rischio, probabilità e possibilità che il guadagno si è fatta ampia strada. Sulla stessa strada si è incamminata e marcia l’idea secondo la quale se ti truffano, rapinano, scippano via telefono, se mettono mani digitali sul tuo conto corrente di cui incautamente hai fornito chiavi di accesso, allora i soldi spariti ce li deve rimettere la banca. Idea azzoppata da recente sentenza della Cassazione. Azzoppata, non stroncata.
Perché una truffa via smartphone avvenga occorre un truffatore e anche un truffato. Rispondere a mail che ti chiedono dati bancari è ormai come lasciare le chiavi di casa con annesso indirizzo all’ingresso di un campo nomadi. Come lasciare il portafoglio con dentro banconote nella pubblica via. Anche se il concetto di “colpa” può apparire punitivo, relativamente incongruo, simile agire e le sue prevedibili conseguenze non possono essere addossate, scaricate su altri, sulla collettività. Non si può (anche se si fa, eccome se si fa) rivendicare il diritto all’irresponsabilità.
La Cassazione ha detto che la banca non è tenuta a risarcire quel che è stato sottratto a seguito di una truffa derivante da esca e abbocco via web. La colpa è parola impropria da usare nel caso ma di certo il danno non può essere automaticamente trasferito e accollato alla banca. Idea del rimborso per diritto naturale sempre e comunque, anche e soprattutto dei tuoi sbagli, come detto azzoppata dalla Cassazione. Ma non stroncata. Ci saranno proteste, comitati e saranno indignati. E ci saranno associazioni che grideranno al favore reso ai “poteri forti”. Nessuno farà loro la domanda e nessuno di loro si farà mai la domanda: se qualcuno mi deve rimborsare delle perdite perché le perdite sono affari loro, di chi sono i guadagni? I guadagni tutti miei, le perdite tutte loro. Non è un diritto naturale?
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