Si sono sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni” e per questo capitava, in sostanza, che reagissero con violenza nei confronti dei detenuti minorenni.
E’ quanto hanno sostenuto, negli interrogatori di oggi davanti al gip, cinque dei sei agenti della Polizia penitenziaria, tutti giovani tra i 25 e i 35 anni e in gran parte di prima nomina, arrestati ieri assieme a sette loro colleghi nell’inchiesta milanese su maltrattamenti e torture nel carcere minorile Beccaria di Milano. Uno si è avvalso della facoltà di non rispondere.
In sostanza, da quanto si è saputo, negli interrogatori davanti al gip di Milano Stefania Donadeo, andati avanti nel carcere di Bollate dalla tarda mattinata fino a metà pomeriggio, gli agenti arrestati hanno spiegato di essersi trovati da soli a dover gestire le situazioni e il rapporto coi detenuti, tutti loro senza adeguata formazione, giovani e con scarsa esperienza.
Nessun aiuto, avrebbero spiegato, da superiori o da altre figure della struttura. In certe casi avrebbero anche salvato la vita, stando alle loro parole negli interrogatori, a dei ragazzi, sia per tentativi di suicidio che per incendi scoppiati. In altri casi, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione, perché non riuscivano a gestire, hanno sostenuto, questo rapporto con i minori detenuti.
Altri interrogatori per gli arrestati sono fissati per domani e venerdì, mentre da lunedì saranno sentiti dal gip gli otto agenti sospesi con misura cautelare nell’inchiesta dell’aggiunto Letizia Mannella e dei pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena.
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