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Trastevere usa e getta, dove la generazione ambientalista muore

C’è un luogo della città di Roma dove dopo le 21.00 è più facile incontrare il fantasma di Beatrice Cenci che un seguace di Greta Thunberg. E’ il rione Trastevere, da tempo luogo di ritrovo di teenagers che hanno il vezzo di usare muretti, scale, finestre, vasi e cestini delle biciclette come secchioni personali. Le generazioni a loro precedenti non sono state certo esemplari, ma quanto sta accadendo nel centro storico della città forse non ha precedenti. Il senso civico che un tempo spingeva i più giovani a difendere i monumenti del famoso “museo a cielo aperto”, la nostra Capitale, Colosseo in primis, oggi è pressoché inesistente, indistintamente tra le varie classi sociali.

La movida usa e getta che non conosce privacy

Io sporco, dunque esisto. Questa la nuova attitudine. Se fino a poco tempo fa prima di gettare una carta in terra ci si guardava intorno, timorosi di essere visti da qualcuno, attualmente i giovani che ogni sera inondano un territorio che, giova ricordarlo, è patrimonio Unesco, non mostrano alcun riserbo nell’abbandonare bottiglie di birra, lattine e superalcolici ovunque. L’esser cresciuti senza privacy, diritto a cui abbiamo più o meno tutti rinunciato per apparire sui social media, sta mostrando oggi i suoi frutti. Essere osservati mentre si abbandonano rifiuti non provoca alcun sentimento di vergogna. E così, all’alba il rione è un cimitero di vetri misti a mozziconi di sigarette e cartacce dei pasti take away. Ma chi raccoglie tutto? Qui si arriva alla nota dolente.

Armiamoci e…pulite

Fa un certo effetto vedere al mattino gli operai dell’Ama, in alcuni casi coetanei di chi sporca come forma di perversa routine, lavorare il doppio per rendere nuovamente vivibili le strade di Trastevere a San Cosimato e dintorni, la zona più nevralgica. Ma non sono gli unici crociati involontari del degrado. Ci sono portieri che ormai senza neanche stupirsi, quasi fosse parte del loro lavoro, tra le prime azioni quotidiane della giornata raccolgono bottiglie di birra e Jägermeister davanti ai portoni. Ci sono parrucchieri che prima di aprire la saracinesca dei negozi devono depurare le piazzole antistanti, nel migliore dei casi abbrutite dai bicchieri di plastica abbandonati con rimasugli di drink fetidi e scadenti. “Hai voluto aprire in centro? Sapevi che era così”, questo si sentono dire. Una frase che di fatto giustifica chi violenta l’ambiente, soprattutto se a due passi c’è un cestino.

Spezzare la catena Uso-Getto-PULISCI

“La situazione nel rione è peggiorata con l’overtourism, ma in realtà è un fenomeno ciclico. I giovani non hanno più timore di essere rimproverati dagli adulti. Mi è capitato di rivolgermi a qualcuno di loro e la risposta è stata delle peggiori, da ‘Ora non mi reggono le gambe’, potete immaginare il motivo, a ‘Fatti i ca**i tuoi stronzo’. La soluzione? Riempire la zona di cestini, far passare continuamente la polizia locale e applicare il regolamento di polizia urbana, che prevede sanzioni a tutela del decoro della città”. Queste le parole di un abitante di Trastevere, esasperato.

Eppure, la sensazione è che il vulnus sia ben più profondo e la soluzione vada oltre la maleducazione sanzionabile. La causa ambientalista che sembrava essere il collante di una nuova generazione, a Roma è più che mai flebile o assente. Siamo all’epilogo di una crisi economica e sociale iniziata nel 2008, mai conclusasi ed esasperata dalla pandemia, che ha messo in crisi prima di tutto adulti e genitori, in una fase in cui i loro figli necessitavano di essere indirizzati, anche nell’educazione ambientale. L’alternativa, è che sia una forma di stupidità tout court, ma arrendersi a tale ipotesi sarebbe degradante. Confidiamo nella prima.

Silvia Di Pasquale

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