Un omicidio volontario in piena regola che non si può nascondere sotto il velo della legittima difesa. La procura di Torino non cambia atteggiamento verso Alex Pompa, il ventiduenne che nel 2020, a Collegno, uccise il padre a coltellate per difendere la madre nel corso dell’ennesima lite in famiglia.
Il pg Alessandro Aghemo, lo stesso magistrato che sostenne l’accusa al processo di primo grado, ha chiesto alla Corte di assise d’appello di condannare Alex a 14 anni di carcere cancellando la sentenza di assoluzione. “E’ un caso che scuote le coscienze – ha affermato – ma bisogna avere il coraggio di dire che è stato un omicidio”.
La vittima, Giuseppe Pompa, 53 anni, è stato descritto come un uomo collerico, geloso, ossessionante. In casa avevano cominciato a registrare di nascosto le sue sfuriate, sempre più frequenti, nel timore che mettesse in atto le sue minacce. “Temevo di diventare l’ennesima vittima di un femminicidio”, dichiarò la moglie, Maria. Il giorno in cui fu ucciso, Giuseppe cercò di contattare la donna per telefono e via whatsapp un centinaio di volte solo perché l’aveva vista salutare un collega (lavorava come cassiera), e cominciò a gridarle contro prima ancora che varcasse la porta di ingresso dell’alloggio. Alex intervenne e, nella concitazione, lo trafisse 34 volte con sei coltelli da cucina differenti.
In primo grado i giudici stabilirono che il giovane agì per “legittima difesa” durante “una lotta ingaggiata per sopravvivere”. Il pg Aghemo oggi ha contestato questa ricostruzione dei fatti, che a suo avviso tradisce “un atteggiamento preconcetto verso l’innocenza dell’imputato”. Il magistrato ha anche ricordato alla Corte la possibilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale: chiedere una pena inferiore a 14 anni non è possibile in quanto il codice vieta di considerare alcune attenuanti prevalenti rispetto all’aggravante del vincolo di parentela.
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