“L’era dell’interferenza francese in Africa è finita“, ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron. Lo ha detto il primo giorno del suo tour africano, iniziato lo scorso 2 marzo in Gabon. Si tratta della prima tappa di un viaggio diplomatico che tocca Angola, Congo Brazzaville e Repubblica Democratica del Congo. La nuova strategia distensiva, post coloniale, dovrebbe differenziarsi dalla precedente presenza sul territorio, spesso tacciata come strategia spregiudicata, pronta ad appoggiare regimi non propriamente democratici, portando avanti prima di tutto gli interessi francesi.
Meno soldati, più investimenti. “Il nostro interesse è prima di tutto la democrazia”, così come i partenariati economici, ha affermato Macron. Questa la nuova strategia della Francia per arginare la presenza di Cina e Russia nel continente. Non buonismo dunque, ma realpolitik commerciale per salvaguardare i propri interessi. Ai microfoni del programma “Nessun luogo è lontano“, condotto da Giampaolo Musumeci su Radio24, Luca Raineri, analista e ricercatore in Relazioni Internazionali alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha dichiarato:
“Le dichiarazioni di Macron possono essere collocate in un qualunque momento dell’ultimo terzo di secolo. Dalla fine della Guerra Fredda sentiamo ripetere da qualunque presidente francese, incluso Macron, il ritornello secondo cui è finita l’epoca della Françafrique. In realtà, lo stesso suo percorso è illustrativo del fatto che continuano a esserci delle forti relazioni di tipo informale, economico e politico, con Paesi ex colonie francesi”. “Ciò non toglie – ha sottolineato l’esperto – che Macron, presidente più giovane, da tempo abbia compreso che i rapporti di forze in Africa sono tali per cui la Francia, volente o nolente, è costretta a reinventarsi un ruolo”.
“L’impegno francese in Africa non è destinato a scomparire – ha aggiunto Raineri – ma ad essere modulato secondo un approccio meno visibile e invadente agli occhi dell’opinione pubblica africana. Il modello a cui cercherà di ispirarsi è quello degli Stati Uniti, la cui presenza militare è aumentata in maniera significativa tra alti e bassi, tuttavia questa ha suscitato meno reazioni virulente rispetto a quella francese. Questo perché gli americani hanno scelto una via di meno visibilità e trasparenza”.
In questa fase delicata di resetting delle relazioni tra la Francia e i Paesi africani, si inseriscono anche gli interessi degli italiani nel continente, considerando che sia il premier Giorgia Meloni sia il ministro degli Esteri Antonio Tajani guardano alle nazioni africane con grande interesse. La prima si è fatta promotrice di un nuovo “Piano Mattei” per l’Africa, alludendo a una “postura non predatoria ma collaborativa” con l’alleato, secondo la dottrina della “terza via” del fondatore dell’Eni, quando metteva in atto strategie commerciali con i Paesi del terzo mondo (forse il caso più eclatante resta quello con la Persia dello scià Reza Pahlavi).
“Noi non entriamo più come degli estranei in questi Paesi, ma in un ambito di cooperazione”, sosteneva Mattei. Sulla stessa lunghezza d’onda vorrebbero essere Meloni e Tajani. Lo scorso dicembre quest’ultimo ha dichiarato: “Vogliamo contribuire alla formazione di una moderna classe dirigente africana che possa apprendere il nostro know how, utilizzandolo nel Paese di origine”. La Francia starà a guardare? Se si pensa al passato sostegno di Mattei all’Fnl algerino e alla questione libica, no. Le mosse dell’Italia in Algeria potrebbero anzi essere fonte di rivalità intraeuropea.
“L’Africa è al centro di una partita strategica, che vede impegnati i principali protagonisti della politica globale”, ha ricordato Raineri, specificando che i Paesi visitati in questa nuova tournée da Emmanuel Macron siano principalmente produttori di petrolio. Segno di quanto la questione energetica stia attanagliando l’Europa dopo la guerra in Ucraina. In questo scenario la Russia potrebbe essere vista come un partner più conveniente, offrendo una protezione militare senza pretese di miglioramento rispetto alla governance o ai diritti umani dei Paesi africani alleati.
Sul tema dei diritti umani anche l’Italia deve fare i conti tra la nuova strategia di governo nel Mediterraneo e i suoi partner commerciali. In Algeria sono in corso violazioni proprio dei diritti umani. La Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati per l’ingresso legale delle agenzie Onu. All’Egitto è legato il caso Regeni. Essere una nazione guida per l’Africa, come ha sostenuto il premier italiano, non può esulare da un tema così importante come quello dei diritti civili.
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