Israele ritira le truppe dal sud della Striscia. Ma senza gli ostaggi liberi la guerra continua

È la svolta (pare): Israele ritira le truppe dal sud di Gaza. Resta solo un battaglione . ”Ma la guerra continua”, parola di Netanyau. È cambiata la strategia giusto nel giorno che ricorda il sesto mese dalla strage del 7 ottobre. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha comunque precisato che questo ritiro è per permettere di preparare l’incursione su Rafah. I vertici militari hanno garantito di poter anche gestire il rischio iraniano, dato per scontato. Secondo fonti militari questo ritiro da Gaza Sud potrebbe essere il preludio all’inizio di una terza fase della guerra centrata appunto su raid mirati anche a Rafah. I famigliari degli ostaggi israeliani non demordono. Alcuni di loro sono a Roma per incontrare Papa Francesco, mentre sale la tensione nelle università.

NESSUNO STOP ALLA GUERRA – Netanyau è stato chiaro nella riunione domenicale del governo: “Nessuno stop alla guerra senza il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas”. Ma il ritiro delle truppe di terra dal sud della Striscia, dopo circa 4 mesi di combattimenti e a 6 mesi dall’inizio dell’offensiva, ha fatto discutere per tutta la giornata. Sulla Striscia di Gaza Sud è rimasta solo sul campo la Brigata Nahal con il compito di tenere in sicurezza il “Corridoio Netzarim”, che attraversa la Striscia lungo la costa dal confine nord fino al sud,  dando la possibilità all’Idf di condurre eventuali nuovi raid. Fonti dell’esercito dicono che il ritiro è solo un avvicendamento tra truppe per riequipaggiare i soldati; tesi avvalorata da Washington. Ma altre fonti sostengono che la mossa israeliana di fatto concluderebbe la manovra di terra iniziata ad ottobre; e darebbe il via ad un’altra strategia di guerra, cioè una  nuova fase centrata su raid più mirati e con più spazi da riservare agli sfollati palestinesi.

LA MINACCIA IRANIANA – L’attenzione di Tel Aviv, la priorità assoluta, è rivolta soprattutto alla minaccia iraniana dopo gli attacchi israeliani in Siria. Israele ha spiegato di “ aver completato i preparativi per una  risposta contro qualsiasi scenario che veda coinvolto l’Iran.” In caso di una rappresaglia violenta, dopo il raid dei giorni scorsi su Damasco in cui è stato ucciso un importante comandante dei Pasdaran ,la vendetta è ritenuta inevitabile. Ma non si sa ipotizzare come e quando sarà eseguita. Un consigliere militare delle Guardia Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha dichiarato che le ambasciate ”non sono più sicure”, lasciando così intendere che Teheran potrebbe attaccare le sedi diplomatiche israeliane in qualsiasi momento. Nel frattempo si sono già mossi gli Houthi: domenica hanno rivendicato altri blitz, in particolare contro una nave britannica e due israeliane.

IL FRONTE DIPLOMATICO RESTA FRAMMENTATO – Domenica sera 7 aprile sono ripartiti al Cairo, in Egitto, i negoziati per una tregua e per il rilascio degli ostaggi. Si discute molto sulle agevolazioni per l’accesso degli aiuti alimentari. Fonti palestinesi riferiscono che i morti nella Striscia sono ormai oltre 33.000 e che si contano a migliaia gli sfollati che stanno tornando verso Khan Younis da cui erano fuggiti davanti all’avanzata dei militari israeliani. L’emittente Al JAZEERA sta pubblicando immagini di civili che camminano tra le vie della città ridotta in macerie dai raid aerei. Palestinesi e Ong accusano i militari di aver impedito  finora la consegna regolare dei beni di prima necessità ai residenti, sia aprendo a singhiozzo i valichi con la Striscia, sia sparando contro la popolazione in attesa delle distribuzioni o contro gli stessi operatori umanitari. Il cessate il fuoco e dunque lontano.

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Alessandro Avico