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Dal processo per Serena Mollicone al sempreverde caso Orlandi, un criminologo di fama spiega

Il processo d’appello per l’uccisione della 18enne Serena Mollicone ad Arce nel giugno 2001  procede intercalando periodi di interesse e periodi di silenzio dei massmedia. Abbiamo chiesto di fare il punto al criminologo Carmelo Lavorino, consulente della difesa della famiglia dell’allora maresciallo comandante della locale stazione dei carabinieri, Franco Mottola, che vede imputati  il maresciallo, la moglie Annamaria ed il figlio Marco, oltre ad altri due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, in servizio all’epoca dei fatti nella stazione di Arce.

In primo grado sono stati tutti assolti, ma la Procura della Repubblica ha presentato appello con un documento di ben 250 pagine. Ricordiamo che Lavorino è il fondatore e direttore di “Detective & Crime”, rivista di criminalistica, criminologia, invetigazione e intelligence, è esperto in analisi e investigazione della scena del crimine oltre che criminalista e investigatore nonché direttore del Centro Studi Investigazione Criminale (CESCRIN).

“Se dovessi riassumere in estrema sintesi”, esordisce Lavorino, “direi, rifacendomi a Francisco Goya, che “Il sonno della ragione genera mostri””. 

Domanda Perché?

Risposta “Perché è evidente che non vi sono indizi d’accusa contro i cinque imputati, ma solo illazioni e sospetti nati dal pettegolezzo e dalla presunzione di averci azzeccato, mentre nulla è stato azzeccato. Abbiamo dovuto sorbirci una cinquantina di udienze al processo di primo e già una ventina in appello per constatare ancora una volta che gli accusatori istituzionali e i loro consulenti sono entrati nel deserto e lì sono rimasti a vagare, tracciando il cerchio che inizia dal nulla e ritorna al nulla”.

Cosa è successo finora nel processo d’appello?

La Corte giustamente ha ammesso tutti i testimoni richiesta dalla pubblica accusa, in tal modo non ci potranno stare le lamentele, i piagnistei e le accuse che fecero pseudogiornalisti colpevolisti senza nulla sapere, qualche parte civile, qualche consulente che ben poco sapeva del processo e che si era infilata giusto per avere visibilità mass mediatica e per invidia delle attività e dei successi del sottoscritto. Non dimentichiamoci, inoltre, della vergognosa aggressione fattaci all’uscita della Tribunale e che una comare del cortile del giallo di Arce ebbe l’impudenza di definire “… è il popolo che si ribella!”. Una dichiarazione irresponsabile, ridicola e incivile, oltre che di perfetta ignorante del diritto e del vivere civile.

Quindi?

Abbiamo dimostrato ancora una che la porta della caserma dei carabinieri di Arce non è l’arma del delitto o mezzo lesivo come invece hanno ipotizzato la Procura di Cassino, le parti civili e i loro consulenti. Abbiamo dimostrato che non è vero che i frammenti di legno sul nastro che avvolgeva il capo di Serena Mollicone provenissero dalla porta, che l’ipotesi della porta non vale nulla ed è basata su errori di valutazione e sul maledetto innamoramento dell’intuizione, del sospetto e della tesi.
Abbiamo dimostrato che i 28 frammenti lignei (25 di legno, 2 di colla, 3 di resina) sul nastro avvolto attorno al capo di Serena provengono da una contaminazione incrociata e spalmata sul tempo, che sono stati commessi errori matematici e logici da parte dei consulenti dell’accusa per fare quadrare il cerchio.
Soprattutto abbiamo dimostrato che con la PROVA SCIENTIFICA non si scherza, che la LOGICA deve essere rispettata, che bisogna essere freddi, obiettivi e non schierati.

È vero che avete prodotto diversi enunciati specialistici che hanno confutato l’impianto accusatorio nella sua interezza? Può elencarli?

Certamente. Già sono stati apprezzati positivamente dalla Corte di primo grado e li abbiamo riproposti: sono logici, scientifici, esaustivi. Eccoli.
1) – L’avvistamento di Serena Mollicone descritto da Carmine Belli è del 31 maggio 2001 (giovedì) e non dell’1 giugno 2001 (venerdì). Carmine Belli MAI ha dichiarato che il ragazzo che strattonava la presunta Serena fosse Marco Mottola. Quindi l’impianto accusatorio è basato sul nulla.
2) – Il corpo di Serena Mollicone sabato pomeriggio 2 giugno 2001, orario dell’ispezione CC, non era sul luogo del successivo rinvenimento, vi è stato trasportato successivamente, la notte fra il 2 e il 3 o il mattino del 3. quindi l’impianto accusatorio sbaglia anche quando ricostruisce erroneamente che il corpo è stato portato a Fontecupa la sera di venerdì 1 giugno.
3) – Guglielmo Mollicone il giorno del funerale non venne prelevato su iniziativa del maresciallo Mottola per motivi di depistaggio, bensì su espresso ordine del capitano dei carabinieri Trombetti su richiesta di un Magistrato della Procura di Cassino. Per anni il Mottola è stato massacrato dai media causa la non chiarezza dell’impianto accusatorio.
4) – Marco Mottola il giorno del funerale di Serena non era biondo come è stato maldestramente mostrato in qualche slide/foto, bensì era castano: tale condizione è provata dalle foto nella nostra consulenza. Il tutto è ulteriormente provato dal video grezzo acquisito dal PG Landolfi presso Mediaset, dal quale abbiamo estrapolato i fotogrammi senza Marco Mottola imbiondito da un filtro apparso in Quarto Grado. Le foto che lo mostrano biondo sono tentativi sleali di qualche inquirente di condizionare la Corte e l’opinione pubblica avvalendosi di errore altrui.
5) – Sul telefonino di Serena consegnato da Guglielmo Mollicone al maresciallo Mottola e da questi fatto consegnare ai Ris, vi erano due impronte papillari dello stesso Guglielmo, quindi il m.llo Mottola non ha cancellato alcuna impronta dal telefonino dopo l’acquisizione del telefonino dal Mollicone, così come ipotizzato avventatamente nell’impianto accusatorio.
6) – Il m.llo Mottola non ha manipolato il telefonino di Serena e non vi ha inserito in agenda il numero 666, come invece erroneamente ipotizzato nell’informativa del 2019. Trattasi di ulteriore suggestione accusatoria.

E le polemiche sull’appartamento dei Mottola fatto pulire per cancellare tracce compromettenti?

7) – Rosa Mirarchi ha pulito l’appartamento a trattativa privata il 4 maggio 2001, quindi un mese prima dell’omicidio di Serena. Non ha senso logico unire tale attività a fasi post delictum per atti autoconservativi ed è criticabile che Inquirenti esperti in investigazione criminale commettano siffatti errori di valutazioni cronologiche-comportamentali, ipotizzando che i Mottola abbiano fatto pulire la scena del delitto… un mese prima del delitto: RIDICOLO!
8) – Non vi sono tracce sui reperti del crimine sui luoghi del crimine riferibili agli imputati (luogo del distacco “combinazione criminale – vittima” (o luogo del rilascio) e luogo di rinvenimento del cadavere. Non vi sono tracce del crimine riferibili agli imputati in altri luoghi.
9) – Reperti e tracce: analisi fattoriale e sistemica. Assenza di tracce dei cinque imputati sui reperti (nastri, busta, filo di ferro, oggetti e vestiti della vittima, reperti rinvenuti sulla scena del rinvenimento).
10) – Gli Indicatori fondamentali concettuali del crimine e triade criminodinamica (Movente. Intento primario. Contesto. Tecnica criminoesecutiva. Volontarietà e premeditazione. Organizzazione. Livelli criminali) non portano ai cinque imputati.
11) – Vi è stata una nostra fortissima confutazione alle relazioni investigative e di consulenza della pubblica accusa. La prova scientifica è stata offesa da alcuni consulenti dell’accusa e delle parti civili.
12) – Il brigadiere Santino Tuzi non ha visto Serena Mollicone entrare in caserma quel fatidico 1 giugno 2001.

Su Santino Tuzi cosa è accaduto?

L’accusa ha tentato di arrampicarsi sugli specchi, noi invece abbiamo dimostrato – soprattutto grazie allo psicologo forense Enrico Delli Compagni – che Tuzi non ha visto entrare Serena in caserma quel fatidico 1 giugno 2001, che l’11 aprile 2008, il giorno del suicidio aveva prepotenti e inesorabili le conseguenze dello stato eteronomico. Una sorta di stato di sudditanza avvenuto dapprima nel primo ascolto e successivamente quando, il 9 aprile, aveva cercato di ritrattare. Le continue pressioni lo avevano portato a ritrattare la ritrattazione, poi Tuzi era stato gravemente insultato e minacciato.

Delli Compagni ha mirabilmente introdotto e motivato l’evidenza dello stato psichico eteronomico di Tuzi, cioè, una condizione che può intervenire in alcuni soggetti quando sono sottoposti in una situazione particolare, e si ritengono subordinati a una persona di più alto in grado sulla quale spostano le proprie responsabilità. Poi questa condizione passa, ma spesso ci si accorge di aver fatto qualcosa che non si voleva, per cui si cade in uno stato depressivo importante.

Ma Tuzi cosa temeva?

Rifacendoci anche a quanto relazionato da Delli Compagni, Tuzi era cosciente in quanto carabiniere (brigadiere) che avrebbe dovuto affrontare un confronto col maresciallo Mottola per confermare eventualmente le sue dichiarazioni incolpatorie, ed era cosciente di avere sparato balle… Inoltre, la sua ex amante Annarita Torriero per la quale stravedeva continuava a rifiutarlo (i messaggi sms di quei fatidici giorni sono esemplari) e lui soffriva, anche per le ferite nell’orgoglio e nel machismo (Tuzi aveva avuto diverse amanti all’interno del suo cerchio di fiducia, addirittura anche la cognata e la moglie di un amico…). Tuzi era entrato nel triangolo negativo di Beck: visione negativa di Sé, visione negativa del mondo, visione negativa del futuro.

Aveva perso ogni speranza, l’arma lo aveva messo in mezzo a una bailamme assurda, avrebbe probabilmente perso la pensione oltre a dover fare un processo. Inoltre c’era la questione delle amanti che non avrebbe più potuto nascondere, tanto che durante l’ascolto del 9, gli viene brutalmente contestato dal colonnello presente. In questa condizione, Tuzi, sceglie la via del suicidio, come unica soluzione al dolore e all’umiliazione troppo grande da affrontare ed all’autostima perduta.

Cosa accadde quella mattina del suicidio di Tuzi?

Tuzi quella mattina era passato in borghese dalla Caserma, aveva preso la pistola, era andato dalla sua ex amante per convincerla a un riavvicinamento, le aveva lasciato come pegno d’amore undici rose rosse e una azzurra, una stecca di sigarette e un biglietto d’amore, poi avevano parlato; lui era sudato, nervoso. Ha dichiarato la sua ex amante “Mi disse… poi capirai dove dovrai portarmi le rose…”. E Tuzi si diresse verso la diga di S. Eleuterio, da qui telefonò alla ex amante e quando lei gli ribadì il rifiuto, Tuzi esplose un colpo. Poi, percorsi con la macchina molti metri, si suicidò sparandosi un colpo al petto.

Lei è sicuro che si sia suicidato?

La fantasia popolare, i dietrologi ed alcuni personaggi che gradivano lo scenario “omicidio camuffato da suicidio” soffiarono sul fuoco e inventarono una Spectre suprema della caserma dei carabinieri di Arce che fungeva da sezione assassina esecutiva: corbellerie! Addirittura c’è chi parla di un commando specializzato di carabinieri supersicari organizzato dal m.llo Mottola…

In realtà tutti i dati forensi e oggettivi sono compatibili col suicidio e fanno concludere quanto segue:

1) il colpo è stato esploso dalla pistola di Tuzi e da lui era impugnata, sulla stessa vi era una sua impronta digitale;

2) il proiettile ha colpito il cuore di Tuzi ed è fuoruscito dalla schiena, andando a posizionarsi sul sedile lato posteriore;

3) sulle mani di Tuzi vi sono tracce di residui di sparo ternarie (bario, antimonio e piombo);

4) la direzione dei microspruzzi ematici fuorusciti dal petto e depositatisi sulle braccia, sulle mani e sul lato dello sportello lato guida sono coerenti al 100% col suicidio, lo stesso dicasi per la linea di sparo e la direzione del proiettile;

5) è altamente probabile che Tuzi abbia esploso due colpi: il primo è quello che ha udito al telefono la sua ex amante, il secondo – dopo avere proceduto con la macchina verso la diga (luogo simbolico…) è quello mortale, esploso dopo che Tuzi ha posato il telefono sul sedile lato passeggero (in tal caso il bossolo fuoruscito dalla macchina  è stato raccolto dai primi intervenuti o da altri…). Anche il medico legale prof. Costantino Ciallella incaricato dalla Procura di Cassino concluse per atto suicidiario.

Cosa prevede come esito del processo?

Siamo sereni per due motivi precisi ed eccezionali: abbiamo dato il massimo possibile producendo logica, scienza e diritto, collaborando e sacrificandoci. Un carissimo pensiero va – per questo –  agli avvocati Francesco Germani, Piergiorgio Di Giuseppe, Mauro Marsella e Enrico Meta, ai consulenti Enrico Delli Compagni criminologo e psicologo forense, all’ing. Cosmo Pyo Di Mille, al medico legale prof. Giorgio Bolino, all’esperto informatico Gaetano Bonaventura, alle criminologhe ed avvocate Alessandra Carnevale e Giusy Marotta, al biologo Claudio Lavorino, al criminalista Dante Davalli, al tecnico Fulvio Marsella, all’avvocato Andrea Folcarelli e a tanti altri.
Il secondo motivo è che i due Procuratori Generali cercano la realtà dei fatti senza prese di posizione personali, non si fermano di fronte a nulla proprio perché vogliono avere tutto chiaro, sono freddi e obiettivi e non “innamorati dell’impianto accusatorio”, sono molto severi e non sono spinti da motivazioni psicologiche, emotive e particolari. Mi sembrano due carri armati che avanzano con un solo scopo: la verità: è questo mi fa piacere perché c’è stato, c’è e ci sarà il confronto totale su tutti i dati col solo scopo della verità.

Come giudica il comportamento dei mezzi d’informazione?

Questo è stato il processo più duro della mia vita perché, purtroppo, l’opinione pubblica e i mezzi d’informazione hanno avuto ed hanno tuttora una fortissima percezione colpevolista. Purtroppo i media hanno fatto da cassa di risonanza all’impianto accusatorio, tutti hanno creduto alle favolette di Tuzi (ritenuto contraddittorio e non credibile anche dai Giudici, e prima anche dalla Procura di Cassino), ci sono state le strumentalizzazioni delle sofferenze di Guglielmo Mollicone e del fratello Antonio; lupi mannari, iene ed avvoltoi si sono impadroniti delle loro sofferenze e del loro giusto desiderio di giustizia…  

Cambiando argomento, è vero che lei è stato contattato dal perito Arcuri per collaborare a una perizia? Perizia che dimostrerebbe come il famoso e cosiddetto Americano che telefonava a casa Orlandi dicendosi portavoce dei “rapitori” di Emanuela altri non era se non il fotografo romano Marco Fassoni Accetti.

Sono stato contattato telefonicamente, non proprio per collaborare per “una perizia”, ma in un quadro più ampio.

Ma lei, criminologo di chiara fama, come potrebbe collaborare a una perizia fonica?

Sono contattato da molte persone e professionisti per entrare in team e gruppi su diversi casi criminali come coordinatore ed analista totale criminalista criminologico investigativo sistemico, al che formo gruppi, individuo competenze, sistemi e strumenti. Nel caso di Emanuela Orlandi laddove io dovessi interessarmi professionalmente al caso, senza la sua presenza, di lei Nicotri, la sua collaborazione e la sua sapienza non mi muoverei: Sandokan si muoveva con Yanez, Tex Willer con Kit Carson…
 

 

Pino Nicotri

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