Delitto di via Poma, sparito dal progetto di commissione parlamentare sui gialli insoluti, il mistero della morte di Simonetta Cesaroni era in elenco accanto alla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Ora non c’è più. Ne parlo col criminologo Carmelo Lavorino.
Il 1° febbraio gli onorevoli Roberto Morassut, Matteo Richetti, Stefania Ascari, Augusto Curti, Toni Ricciardi e Luciano D’Alfonso con l’atto parlamentare numero 852 hanno presentato la proposta di legge di “istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sui casi riguardanti la scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori e l’omicidio di Simonetta Cesaroni”. Però il 23 marzo quando la proposta è stata votata e approvata alla Camera il nome della Cesaroni – uccisa il 7 agosto 1990, sette anni dopo la scomparsa delle altre due ragazze – non c’era più. Cosa ne pensa il criminologo e investigatore Carmelo Lavorino, che sul delitto Cesaroni ha scritto ben cinque libri?
Risposta – Le commissioni parlamentari d’inchiesta SE fanno il loro dovere sono benvenute. Però mettere assieme due casi di scomparsa di cui da 40 anni non si sa assolutamente nulla e un omicidio indagatissimo, anche se in modo sbagliato, denota idee confuse. Personalmente ho chiesto di fare da consulente specializzato ed esperto in questa commissione, proprio perché servono specialisti e non avventurieri della tastiera. Quindi, mi auguravo che la commissione partisse, ma con struttura, metodi e competenze di alta professionalità ed adeguatezza: io e il mio gruppo di analisi criminale ci siamo, ma non c’è la Cesaroni: sparita dal progetto di commissione parlamentare.
Domanda – Lei sul caso Cesaroni ha scritto cinque libri. Il primo nel 2009, il secondo nel 2010, entrambi intitolati “Via Poma – Sulle tracce dell’assassino”. Il terzo nel dicembre 2011, il quarto nell’ottobre 2019, il quinto nell’aprile dell’anno scorso, tutti e tre intitolati Il giallo di via Poma – Inganno strutturale. Perché tanto interesse per questo delitto?
Risposta – È il giallo irrisolto numero uno per antonomasia in Italia, a parte i delitti del Mostro di Firenze. Sono stato sempre appassionato di enigmi polizieschi-criminali, e il caso di Via Poma contiene tutti gli elementi dell’enigma da risolvere e districare. Molti scenari, molta confusione creata ad arte, molte piste, molti elementi contraddittori. Inoltre, sono stato coinvolto professionalmente nella difesa di Federico Valle, uno degli imputati (poi prosciolto), e anche successivamente, tanto che fui il consulente per il film “Il delitto di Via Poma” della TaoDue con la regia di Roberto Faenza.
D – Già nel titolo lei afferma che c’è stato un inganno, per giunta strutturale, quindi permanente. Qual è questo inganno e perché è strutturale?
R – Qualcuno ha inserito elementi falsi fra i dati certi e i presupposti dell’inchiesta, cioè quelli che sostengono e uniscono il procedere investigativo e giudiziario e reggono l’impianto-scheletro logico e portante (quindi strutturale). E ciò ha causato conclusione sbagliate e il fallimento dell’inchiesta: è una regola della logica che presupposti falsi generano conclusioni false anche se il ragionamento è esatto. E così è accaduto in Via Poma.
D – Quali sono i dati falsi inseriti tramite l’inganno strutturale?
Alcuni sono gli errori nascosti che gli inquirenti hanno commesso, altri sono errori soffiati e direzionati dai “piani alti” ancora meno visibili dei precedenti. Altri sono dati scientifici e di orario che hanno falsato i dati di partenza ergo le conclusioni.
Il primo dato falso è che sino al 2012 gli inquirenti si erano fissati sul fatto che il sangue sul telefono fosse della vittima e non dell’assassino (sic!), nonostante sin dal 1993 io e l’avvocato Raniero Valle dicessimo che era dell’assassino perché di gruppo A, mentre la vittima aveva il sangue gruppo 0.
Il secondo dato falso è l’orario della morte di Simonetta, che a mio avviso non è verso le ore 18:15-18:30, bensì fra le 16:30 e le 17:00.
Il terzo è che le telefonate fra una donna che si dice essere Simonetta e una sua collega, che a sua volta ha telefonato ad altri due colleghi, devono essere anticipate di circa 45-60 minuti, quindi non più fra le 17:15 e le 17:40, bensì fra le 16:15 e le 16:40.
Il quarto è che si è impedito, inizialmente, di far dire al medico legale che l’assassino fosse un mancino.
D – Chi ha escogitato e organizzato l’inganno? Lei ha infatti parlato sia di “inganno strutturale escogitato ed applicato magistralmente nell’omicidio di Simonetta Cesaroni”, sia di un “nucleo nero e invisibile che ha generato la catastrofe investigativa-giudiziaria dell’uccisione di Simonetta”. Quale sarebbe questo nucleo nero, da chi è composto?
R – Hanno ingannato in molti. Ovviamente l’assassino e il suo complice pulitore-rassettatore. Purtroppo tutte le persone che hanno preso distanza da Simonetta, come se la non la conoscessero e non l’avessero mai vista in via Poma. Maledettamente quelle entità che ho denominato il burattinaio invisibile e la manina manigolda: la mente e il braccio. Il nucleo nero e invisibile è quell’insieme di decisioni sbagliate, di congetture fallaci, di risibili attività che hanno portato l’inchiesta a naufragare miseramente.
D – Lei afferma anche che l’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù (AIAG) per la quale lavorava la Cesaroni collaborava con il Sisde, i nostri servizi segreti civili. Su quali basi lo afferma? E in cosa consisteva la collaborazione con il Sisde?
R – Il fatto è notorio ed emerso anche in diverse interrogazioni parlamentari rimaste senza risposta.
D – Quali sono i principali errori commessi nelle indagini?
R – Moltissimi, ne cito alcuni:
– non considerare che il sangue sul telefono fosse dell’assassino, cioè gruppo A DQAlfa fa 4/4;
– ritenere che il sangue gruppo A sulla porta lato interno stanza del delitto fosse DQAlfa 1.1/4 e non 4/4, quindi usarlo come dato e termine certo di comparazione (ma errato);
– non considerare che l’assassino abbia colpito per ben 30 volte la vittima con la mano sinistra;
– cadere nella trappola delle telefonate;
– ritenere che il momento del delitto fosse dopo le i17:40 e non fra le 16:30 e le 17:00;
– non irrompere in tutti gli appartamenti del condominio per cercare tracce;
– non chiedere immediatamente i tabulati telefonici;
– cancellare i messaggi nella segreteria telefonica;
– non prendere le temperature della vittima e quelle ambientali;
– non analizzare il contenuto gastrico e lo stato digestivo di Simonetta;
– non tamponare l’escoriazione che Simonetta presentava sul capezzolo sinistro;
– lasciare incustodito il computer al quale stava lavorando Simonetta;
– non cercare in modo certosino e meticoloso le tracce di qualsiasi natura;
– ammucchiare i reperti sporchi di sangui e non in una sola busta;
– non analizzare immediatamente il tagliacarte arma del delitto;
– scattare poche fotografie e non documentare TUTTO;
– non accorgersi che sulla scena del crimine era presente un’agendina rossa della famiglia Vanacore.
Ma di errori ce ne sono molti altri.
D – Perché colleghe e superiori della Cesaroni si sarebbero messe d’accordo per affermare di avere parlato al telefono con Simonetta 45-60 minuti dopo l’orario reale?
R – Per due ordini di motivi: per un suggerimento-ordine arrivato dall’alto e per evitare problemi a tutti gli impiegati dell’AIAG, in quanto le prime notizie facevano ritenere – a mio avviso erroneamente – che l’omicidio fosse avvenuto a ridosso delle ore 18. In tal modo erano tutti coperti dall’alibi delle telefonate e si dava la colpa all’unico sospettato papabile, il portiere Pietrino Vanacore.
D – Lei nell’affermare che l’assassino doveva essere mancino, avere un ben preciso gruppo sanguigno, diverso da quello affermato dagli investigatori, e conoscere bene il condominio dove lavorava ed è stata uccisa Cesaroni, dà l’impressione di avere in mente un ben preciso nome. Tale nome lo ha fatto nella recente richiesta alla magistratura di riaprire le indagini?
R – Ho inviato un esposto indicando una serie di attività da effettuare spiegando punto per punto il mio percorso logico-deduttivo ed allegando il mio ultimo libro. Se gli elementi oggettivi ci dicono di percorrere una pista la si deve percorrere a livello investigativo e con freddezza, senza innamoramenti della pista e dell’intuizione, ma con scientificità e precisione.
D – Di recente lei ha collaborato all’atto unico teatrale intitolato “Il Relitto di Via Poma – Inganno strutturale” andato in scena a Milano il 25 e 26 marzo. Nel titolo lei, oltre a ribadire che c’è stato un inganno strutturale usa la parola relitto, calcata sulla parola delitto. Lei così vuol dire che l’inganno strutturale, quello cioè alla base delle indagini, e le conseguenti indagini sbagliate, hanno ridotto il caso e le varie indagini a un relitto? A qualcosa cioè di inutilizzabile?
R – L’idea e l’intuizione di sostituire “Relitto” a “Delitto” è venuta all’autore del testo e regista Massimo Amadei ed è di sua totale scelta e di suo merito. La parola relitto fotografa perfettamente lo stato di squallido e irreparabile degrado in cui è precipitata la vicenda investigativa/giudiziaria. Altre mirabili intuizioni di Amadei sono l’inserimento nell’opera di tre figure molto forti che generano emozioni, sorpresa e riflessioni che suscitano nel pubblico legittimi interrogativi:
1) – la figura immateriale, ma vivida e precisa, di Simonetta Cesaroni, un’entità immateriale che si muove fra i protagonisti ignari della sua presenza, sino a fare trionfare lo spirito di collaborazione e di ricerca della vera verità tramite la scienza, la ragione, l’investigazione seria e l’informazione oggettiva.
2) – La figura del criminologo-investigatore analitico, freddo, ricercatore inflessibile della verità e duro critico degli errori e delle stravaganze, soggetto interpretato proprio da Massimo Amadei.
3) – La descrizione delle fasi del delitto, il punto cruciale e oscuro della tragedia, tramite il coro dei protagonisti che drammaticamente si alternano e si susseguono per fissare la criminodinamica che pone fine alla vita della povera Simonetta.
Per concludere posso affermare che l’assassino ha avuto una fortuna sfacciata perché è stato protetto sia dagli errori investigativi degli inquirenti, sia dal caos, dalla cortina di ferro e dal muro di gomma che il burattinaio invisibile e la manina manigolda hanno creato attorno all’AIAG.
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