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Emanuela Orlandi, 40 anni fa: dai faldoni emerge rapporto dei carabinieri, il fidanzato di Natalina contro lo zio?

Mistero Emanuela Orlandi: gli inquirenti stanno cercando di trovare l’originale e gli annessi allegati di un documento che circola da qualche giorno.
Se autentico e non polpetta avvelenata manderebbe drammaticamente in frantumi la versione riduzionista che Natalina Orlandi nella conferenza stampa dell’11 luglio ha dato delle avances di suo zio Mario Meneguzzi cinque anni prima della scomparsa di sua nipote Emanuela, sorella di Natalina.
Secondo tale documento il primo a riferire direttamente ai carabinieri e in via confidenziale quelle avances sarebbe infatti stato il 30 agosto 1983 lo stesso fidanzato di Natalina, Andrea Ferraris, diventato in seguito suo marito.
Sarebbero quindi state queste asserite confidenze a mettere in moto il meccanismo sfociato nei successivi giorni del settembre ’83 nelle ormai note conferme arrivate dal Sudamerica da parte dell’ex confessore e consigliere spirituale dell’intera famiglia Orlandi, monsignor José Luis Serna Alzate.  Conferme delle avance, della paura suscitata in Natalina e  dell’annessa minaccia di farla licenziare dal lavoro nel Parlamento italiano se ne avesse anche solo parlato.
Come ormai emerso e accertato, è stata la magistratura italiana a rivolgersi all’allora Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli per sapere se erano vere certe voci riguardanti molestie e avance fatte a Natalina Orlandi da suo zio Mario Meneguzzi.
Dopo questo input Casaroli, usando un codice cifrato ultra segreto data la delicatezza della questione, ha girato le domande al sacerdote che nel 1978 era il confessore e consigliere spirituale di Natalina e della sua famiglia.  Se è vero il documento sul quale stanno facendo ricerche gli inquirenti dimostrerebbe che alla magistratura italiana la pulce nell’orecchio, cioè i sospetti su zio Mario, è stata messa tramite i carabinieri dallo stesso fidanzato di Natalina. Cosa che avrebbe una evidente conseguenza:
– non potrebbe essere vero quanto sostiene a spada tratta Pietro Orlandi, e cioè che i magistrati sospettavano di suo zio, al punto da farlo pedinare, solo perché temevano che potesse consegnare di persona ai “rapitori” di sua nipote Emanuela i soldi dell’eventuale riscatto o che potesse essere avvicinato da loro per dirgli le condizioni per il suo rilascio.
Mario Meneguzzi si accorse di essere pedinato, perciò si rivolse al suo amico Giulio Gangi, innamorato non corrisposto di Monica Meneguzzi, figlia di Mario, e giovane poliziotto appena entrato nei ranghi del servizio segreto civile SISDE.
Gangi purtroppo gli confermò che era davvero pedinato, mandando così all’aria il lavoro dei magistrati e la possibilità di ulteriori controlli sullo zio Mario Maneguzzi.
La ricerca degli inquirenti nella massa abbastanza disordinata della carte giudiziarie non sarà facile: anni fa quando sono stato autorizzato dal presidente del tribunale di Roma a visionarle per le mie ricerche il personale ci ha messo più di dieci giorni solo per rintracciarle.
E alla fine mi sono trovato davanti una massa di faldoni decisamente non in ordine. Tanto che non sono riuscito a trovare un indice delle carte, utile per potersi orientare a condurre ricerche su temi specifici.
Ma cosa c’è scritto nel documento in questione? Eccone il testo a partire dall’intestazione e dal numero di protocollo:
“LEGIONE CARABINIERI DI ROMA
REPARTO OPERATIVO
-3a Sezione-
N. 0159977/2-20  “P” di prot.                Roma, li 30.8.1983.-
RAPPORTO GIUDIZIARIO: – circa gli ulteriori accertamenti svolti in relazione alla scomparsa di Emanuela ORLANDI. –
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI
(Sost.Proc. Dott.D. Sica) R O M A
Seguito rapporti giudiziari pari numero ed oggetto di questo Reparto
Si trasmette una relazione di servizio inerente dichiarazioni confidenziali rilasciate da Andrea FERRARIS, fidanzato della signorina Natalina ORLANDI, sorella maggiore di Emanuela, ad ufficiale di questo Reparto, circa un episodio avvenuto cinque anni orsono tra la Natalina stessa e lo zio Mario Meneguzzi”.
Purtroppo si tratta solo della mezza pagina superiore dell’asserito rapporto giudiziario, manca quindi il nome di chi lo ha redatto e inviato al magistrato Domenico Sica.
Noto inoltre che tra i tre cognomi citati quello di  Meneguzzi è il solo che non è stato scritto tutto in lettere maiuscole. Ma questa potrebbe essere solo la distrazione del carabinere che ha battuto a macchina il rapporto, come del resto avvenuto nei rapporti dei carabineri da me citati in un articolo riguardante la ventilata sepoltura di Emanuela nei sotterranei di Castel S. Angelo. Rapporti da me citati e da nessuno smentiti.
In attesa degli accertamenti degli inquirenti, e sperando che il documento non sia autentico perché altrimenti le conseguenze sarebbero devastanti, dobbiamo comunque rilevare alcune cose che su alcuni particolari cambiano la narrativa dominante:
1) – il carteggio Sica/Casaroli/monsignor Serna Alzate/e ritorno NON risulta sia mai stato trasmesso da Domenico Sica ai suoi successori nell’inchiesta Orlandi, vale a dire ai magistrati Ilario Martella, Giovanni Malerba e Adele Rando. Sica dunque o lo ha fatto sparire o lo ha trattenuto. Perché?
E’ evidente il desiderio del Vaticano di non alimentare le malelingue, in modo da proteggere l’immagine degli Orlandi e la loro pace familiare.
Ercole Orlandi, padre di Natalina ed Emanuela, oltre che di Pietro, Federica e Maria Cristina, era pur sempre il postino del Papa e con la sua famiglia abitava all’interno del Vaticano.
Tale desiderio di massima discrezione può essere stato recepito da Sica. Che dopo l’errore marchiano di Giuio Gangi pur continuando a sospettare di Mario Meneguzzi non poteva più sperare di arrivare a dimostrarne l’eventuale colevolezza. Tanto valeva chiudere a chiave da qualche parte quelle carte.
2) – Lo stesso carteggio Sica/Casaroli/monsignor Serna Alzate/e ritorno il Vaticano NON lo ha messo tra le varie carte consegnate alle autorità italiane quando ha risposto alle rogatorie. Risposte da me pubblicate nei miei libri e articoli.
Il carteggio è stato cioè trattenuto nella Segreteria di Stato. Evidentemente per proteggere gli Orlandi e la loro pace familiare tenendoli al riparo da quanto esploso a scoppio ritardato in questi giorni grazie al fatto che il carteggio è stato fatto filtrare, a quanto mi risulta, da Piazzale Clodio.
3) – Raul Bonarelli, sovrastante della Vigilanza Vaticana (poi confluita nella Gendarmeria), il giorno prima di essere interrogato come testimone dal magistrato Adele Rando, cioè il 13 ottobre 1993, riceve dal Vaticano una  telefonata con la quale gli viene detto “ti passo il capo”.
Il quale capo gli raccomanda di non dire  “che le cose della faccenda Orlandi sono andate alla Segreteria di Stato”. Il capo probabilmente era Camillo Cibin, responsabile della Gendarmeria, e il suo intervento è stato sugegrito da “Sua eccellenza Bertani”, vale a dire monsignor Luigi Bertani.
Si è sempre pensato e scritto, l’ho fatto anch’io, che a Bonarelli venisse autorevolmente “consigliata” l’omertà totale per nascondere chissà quale responsabilità o colpa d’Oltretevere nella scomparsa di Emanuela.
Oggi si può più serenemente e realisticamente pensare che non si voleva saltasse fuori il carteggio citato. E che non si voleva saltasse fuori perché si voleva invece proteggere la famiglia Orlandi.
4) – Alla luce di quanto emerso del carteggio citato, assume ben altro aspetto la risposta che avrebbe “lasciato le cose così come si trovavano” data da monsignor Giovanni Battista Re, assessore della Segreteria di Stato, a monsignor Savero Salerno quando questi gli propose di scandagliare le proprie vaste conoscenze, anche in campo finanziario, per cercare di capire cosa potesse essere successo a Emanuela.
Non di menefreghismo da coscienza sporca o di coda di paglia si tratterebbe, ma anche in questo caso di desiderio di evitare gravi problemi agli Orlandi.
Pietro Orlandi ha sempre preteso ad alta voce che il magistrato vaticano Alessandro Diddi verificasse tutte le chiacchiere, le voci e i pettegolezzi raccolti anche di recente, compresi quelli che si riferivano a bagordi sessuali di Papa Wojtyla e “alti prelati vaticani” oltre che alla pista inglese, tanto per cambiare fasulla anche quella, che tira in ballo l’arcivescovo di Canterbury.
Per non dire delle pretese di aprire – come avvenuto – tombe nel cimitero Teutonico vaticano perché quacuno gli aveva riferito la chiacchiera che vi era sepolta Emanuela.
Pietro Orlandi sarà quindi sicuramente felice che gli inquirenti cerchino di vederci chiaro anche in quest’ultima “chiacchiera”  del rapporto giudiziario dei carabineri datato 30 agosto 1983.
Pino Nicotri

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