Emanuela Orlandi, dopo 40 anni di fandonie soluzione finale del Vaticano: finirà il circo? Le colpe di Netflix

Mistero Orlandi: dall’inchiesta giudiziaria decisa dal Vaticano cosa sarà delle teorie di Pietro Orlandi e di tutti i sostenitori della pista vaticana d’alto o d’altissimo bordo per la scomparsa di Emanuela Orlandi? Una figuraccia?

Più che probabile. E più d’una figuraccia se si pensa che ormai si è arrivati perfino ad alludere a un incontro notturno finito tragicamente di Emanuela con l’allora Papa Giovanni Paolo II, il polacco Karol Józef Wojtyla. Allusione grottesca se non altro perché ignora clamorosamente il fatto incontestabile che il giorno della scomparsa di Emanuela, 22 giugno 1983, il Pontefice era in Polonia con tutto il suo seguito, giornalisti compresi, e che è rientrato a Roma e in Vaticano solo nel pomeriggio del giorno dopo.  Ma andiamo per ordine.

La decisione a sorpresa della magistratura di Città S. Pietro  di accontentare nuovamente Pietro Orlandi aprendo sulla base di una sua denuncia un’inchiesta giudiziaria sulla scomparsa di Emanuela ricorda la decisione presa nel 2019 dalla stessa magistratura di aprire non una ma due antiche tombe di principesse tedesche del Campo Santo Teutonico del Vaticano. A chiedere a gran voce e con insistenza l’apertura di una ben precisa tomba era stato Pietro Orlandi, convinto da alcuni pettegolezzi presentati come “notizie avute da fonti vaticane” che dentro ci fosse il cadavere di Emanuela. Il Vaticano lo accontentò ad abundantiam, aprendo non solo la tomba indicata da lui, ma a scanso di equivoci anche quella affianco. Ed entrambe si rivelarono vuote.

Sotto una delle due tombe si scoprì che c’era una vasta camera in cemento, dovuta a ristrutturazioni del 1965, ma subito denunciata da Pietro Orlandi come vano di sepoltura supersegreta di Emanuela svuotato del contenuto per poter procedere senza rischi all’apertura delle tombe. 

Questa volta le “prove” presentate da Pietro Orlandi sono essenzialmente uno scambio di messaggi Whatsapp tra due personaggi vaticani asseritamente indaffarati a mettere assieme documenti riguardanti Emanuela e a fare sparire i resti di Emanuela dalla “camera supersegreta” della tomba del Teutonico. Lo scambio di messaggi è infatti il seguente:

 – “Mi raccomando, dobbiamo fare delle fotocopie di tutti questi documenti di Emanuela”. 

–  “Però a questo punto i tombaroli chi li deve pagare visto che li dobbiamo pagare di nascosto?”.

– “Di questa cosa dobbiamo avvisare il capo della gendarmeria Giani”.

– “No, lascia perdere, la Orlandi è una cosa grave, il Papa è con noi, ci dice di andare avanti”. 

– “Papa Francesco ci dice che dobbiamo andare avanti, però poi siamo noi che dobbiamo fare le cose, che facciamo? Abril ci dice che dobbiamo andare avanti che poi a settembre dobbiamo fare l’inventario delle cose che abbiamo trovato”.

Abril a detta di Pietro Orlandi è il cardinale all’epoca presidente della commissione cardinalizia della banca vaticana IOR. In compenso si sanno con precisione due cose.

La prima cosa è che se è vero che Emanuela era sepolta nel Teutonico allora non può essere vero che era stata trasferita a Londra e che per anni il Vaticano ha pagato le spese del suo mantenimento, come invece sostiene il giornalista Emiliano Fittipaldi nel suo libro Gli impostori. Nel libro, preso sul serio da Pietro Orlandi&C, Fittipaldi racconta infatti di un dossier del 1998, arrivatogli a suo dire dal Vaticano, che “documenta” spese per quasi 500 milioni di lire per trasferire e tenere Emanuela a Londra almeno fino al 1997. Anno in cui il dossier appare concluso per essere consegnato a monsignor Giovanni Battista Re in quanto Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato.

Purtroppo i documenti in questione erano solo fotocopie: impossibile stabilire quindi con analisi se fossero autentici. E di conseguenza impossibile contraddire sia l’accusa di Greg Burke, portavoce del Vaticano, secondo il quale quella di Fittipaldi è “una documentazione falsa e ridicola“, sia l’accusa del cardinale  Re: “Non ho mai visto quel documento pubblicato da Fittipaldi, non ho mai ricevuto alcuna rendicontazione su eventuali spese effettuate per il caso di Emanuela Orlandi“. 

La seconda cosa nota con precisione è che Stefan Heid, uno dei massimi esperti di storia del Campo Santo Teutonico, gestito da un’apposita confraternita, e direttore dell’Istituto Goerres-Gesellschaft, con sede nel Teutonico e il cui fine è  “esplorare la storia della Chiesa e l’eredità cristiana”, il 19 luglio 2019 sul sito dell’Istituto ha spiegato che la camera trovata sotto la tomba di una delle due principesse era “enorme e cementata”.

Troppo grande e robusta per essere destinata a nascondere il cadavere di Emanuela. Ma con dimensioni simili a quelle di altre tombe destinate accogliere sepolture collettive, che nel Teutonico sono di vari tipi: ci sono tre tombe collettive per i membri dell’arciconfraternita del cimitero, ce ne sono varie per intere famiglie, altre per i membri di particolari congregazioni, ecc.

Ma ecco nuove strabilianti dichiarazioni di Alì Agca, il turco che nell’81 tentò di uccidere Wojtyla a colpi di pistola e che, condannato all’ergastolo, venne graziato nel 2000 potendo così far ritorno in Turchia. Agca, che al processo in Italia tra l’altro ha dichiarato di essere “Cristo in terra”, ha promesso che in questa inchiesta farà nuove “rivelazioni” corredate da “prove”. Sempre preso sul serio da Pietro Orlandi. Le ultime, per ora, “rivelazioni” di Agca sono del 13 dicembre scorso e indicano nel “governo vaticano”, quindi in Wojtyla, il mandante del “rapimento” di Emanuela, “che consegnata poi alle suore di un convento accettò il suo destino”.  

 La magistratura vaticana ha deciso di aprire le indagini nel pieno della bufera scatenata dalle accuse contro Papa Francesco, al secolo Josè Mario Bergoglio,  lanciate da don Georg Gänswein, per lungo tempo segretario particolare dello scomparso pontefice emerito Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger.

Per giunta proprio nel giorno in cui il pontefice ha ricevuto don Georg. Il quale tra le altre cose lo ha accusato clamorosamente di avere “spezzato il cuore” di Ratzinger decidendo che le Messe non fossero più celebrate in latino, ma nella lingua dei singoli Paesi. Il clamore suscitato dall’incontro tra Francesco e don Georg ha fatto passare inosservato il fatto che quest’ultimo ha affondato da tempo alcune “verità” assai care a Pietro Orlandi e ai suoi inossidabili fans. L’ex segretario particolare di Ratzinger nel suo libro di memorie  “Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI”, scritto con il vaticanista Saverio Gaeta, ha infatti precisato.  

– Non è mai esistita la “trattativa” tra il Vaticano e il magistrato Giancarlo Capaldo, che ne ha parlato peraltro sempre in modo molto vago e contradditorio, senza mai avallarla esplicitamente. Trattativa consistente nella consegna della “verità sulla fine di Emanuela”  in cambio dello spostamento della sepoltura di Enrico De Pedis dalla basilica di S. Apollinare.

– Non è mai esistito un dossier più o meno segreto del Vaticano sulla scomparsa di Emanuela. A questo proposito don Georg scrive:

 “Da parte mia posso serenamente affermare che è totalmente inventato quanto venne scritto dal giornalista Pino Nicotri sul sito www.blizquotidiano.it il 13 gennaio 2015: ‘Qualche mese fa i magistrati sono venuti a sapere in via confidenziale che “durante il processo la Segreteria di Stato e la Gendarmeria del Vaticano erano semplicemente terrorizzate dall’idea che Paolo Gabriele avesse fotocopiato anche il dossier preparato con estrema cura da Gänswein”.

Il dossier comunque non risulta tra le fotocopie consegnate a Nuzzi e neppure tra quelle trovate nell’appartamento in Vaticano dell’ex maggiordomo. Segno che non è stato fotocopiato. Negli ultimi tempi però i magistrati si sono chiesti il perché di tanta paura che ce ne fosse invece in giro una copia. Inevitabile l’ipotesi che il dossier contenesse l’intera verità su cosa è successo e per mano di chi’. Molto più semplicemente, io non ho mai compilato alcunché in relazione al caso Orlandi, per cui questo fantomatico dossier non è stato reso noto unicamente perché non esiste”.

 Come ho fatto notare nell’articolo de Il Fatto Quotidiano che il 9 gennaio ha parlato dell’apertura dell’inchiesta giudiziaria vaticana, la frase riferita a me non chiarisce esplicitamente che l’affermazione che io ho riportato nel mio articolo non è mia, ma di una mia fonte chiaramente della magistratura che si occupava del mistero Orlandi, tant’è che la riporto tra virgolette.

E nel resto dell’articolo sono piuttosto scettico sulla sua veridicità. Don Georg non può certo sapere e quindi smentire se e cosa mi può avere detto un mio informatore.

Semmai c’è da chiedersi come mai ci fosse tra i magistrati chi faceva una tale affermazione falsa. Ma poiché un giornalista non può rivelare le sue fonti non posso farne il nome, che renderebbe ben chiaro il perché di tale sua affermazione fasulla.

– Non esistono nemmeno carte e appunti più o meno segreti di Ratzinger su tale scomparsa.

– Nel libro è anche specificato che 

“Le diverse e contrastanti piste – dalla connessione con l’attentato a Giovanni Paolo II al tentativo di avviare uno scambio con Ali Agca, dagli scontri fra servizi segreti dell’Est e dell’Ovest alle vicende criminali della banda della Magliana, dalle questioni connesse allo Ior del tempo di Marcinkus ai presunti finanziamenti al movimento polacco Solidarnosc – hanno avuto ciascuna indizi a favore e contro, senza che fossero mai raggiunte definitive prove”.

Per quanto riguarda il fatto che Ratzinger non ha mai nominato Emanuela nel corso delle sue preghiere dell’Angelus non c’è nulla di misterioso o “sospetto”. Nel mio articolo citato da don Georg scrivo quanto affermato anche dal giornalista Gianluigi Nuzzi nel suo libro “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI:

“Finora s’era saputo solo che Ratzinger su tale “affaire” ha sempre taciuto su consiglio del capo dei ghost writer papali, il prelato veneto Giampiero Gloder, che riteneva meglio lasciar cadere le domande di Pietro onde evitare di alimentare in qualche modo le convinzioni del fratello di Emanuela. Questa la raccomandazione di Gloder: “Il fratello della Orlandi sostiene fortemente che ai vari livelli vaticani ci sia omertà. Il fatto che il Papa anche solo nomini il caso può dare un appoggio all’ipotesi””.

Una raccomandazione molto sensata e opportuna alla luce del fatto che gli appelli fatti a suo tempo da Papa Wojtyla perché gli asseriti rapitori lasciassero libera Emanuela hanno scatenato un gigantesco bailamme di voci su complotti internazionali di tutti i tipi, come del resto fa rilevare anche don Georg nel suo libro di memorie.

Infine, a proposito di Wojtyla, c’è il recentissimo clamore suscitato dal giornalista Alessandro Ambrosini rendendo nota la registrazione fatta nel 2009, all’insaputa del suo interlocutore, di un colloquio tra lui e “un ex socio di Enrico De Pedis”. Colloquio a proposito di un traffico di ragazzine fornite da malavitosi per i prelati vaticani fino ai livelli più alti.  Un traffico tale che per farlo cessare sarebbe stato chiesto l’intervento di De Pedis. La registrazione, ripulita dei troppi e strani rumori di fondo, è stata mandata in onda da Andrea Purgatori in una puntata del suo programma Atlantide. 

Ambrosini afferma che s’è deciso a rendere nota la registrazione anche perché “venni a sapere dell’amica di Emanuela e di un suo verbale”. Verbale di testimonianza resa quando e davanti a chi? Polizia, carabinieri, magistrati? Mistero. Peccato che l’esistenza di un tale verbale non risulti a nessuno. Per il semplice motivo che non può esistere: gli inquirenti non hanno mai saputo dell’esistenza di tale asserita amica di Emanuela, motivo per cui non l’hanno mai potuto interrogare. 

La pista sessuale – ultima, per ora, nel carosello di varie piste partorite in 40 anni – è stata lanciata dalla recente miniserie Vatican girl di quattro puntate realizzata da Netflix. In una puntata si parla di una misteriosa amica di Emanuela che rivela di avere saputo dalla ragazzina vaticana che era stata infastidita da un religioso – non è chiaro se prete o cardinale o altro – “molto vicino a Papa Wojtyla”. Con Emanuela il religioso in questione ci “avrebbe provato” nei giardini vaticani. Netflix presenta questa “testimone” a scoppio molto ritardato come scoperta da Pietro Orlandi, quando invece è stata trovata dal giornalista Tommaso Nelli che ne parla già nel 2016 nel suo libro Atto di dolore. 

Secondo gli ultimi boatos, dai quali finora nessuno ha preso le distanze tra coloro che da tempo puntano il dito contro i piani alti del Vaticano, il religioso in questione sarebbe stato Wojtyla in persona…. Con tutto ciò che ne sarebbe conseguito.

 Da notare che se queste narrazioni fossero vere Wojtyla e l’intero Vaticano sarebbero stati più che ricattabili non solo dai vari servizi segreti dei Paesi comunisti dell’epoca, Unione Sovietica in testa. E’ infatti accertato che almeno i Paesi comunisti avevano – ovviamente – spie anche all’interno delle sacre mura. Impossibile quindi che l’asserito traffico di ragazzine e annessi e connessi potesse passare inosservato. 

Un ben strano Paese il BelPaese, che come un assetato permanente o un drogato irrecuperabile dà retta a tali e tante “rivelazioni” per ormai 40 anni di fila. 

“The show must go on!”.

 

Published by
Pino Nicotri