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Cronaca

Emanuela Orlandi eccita la fantasia, elenco delle ultime patacche e false piste

Sotto a chi tocca, avanti c’è posto: “Feci fare un passaporto falso per Emanuela Orlandi. Serviva per far trasferire Emanuela a Londra. Me lo chiese Enrico De Pedis, che conobbi tramite la sua amante Sabrina Minardi”.

Bum! Questa volta a fare il botto tocca al veneziano Vincenzo Pipino, detto “il ladro gentiluomo”, 81 anni, 25 dei quali in carcere e ormai uomo libero. Ma andiamo per ordine, anche perché ormai il mistero Orlandi è diventato di moda, averci avuto o averci comunque a che fare ora è quasi un obbligo sociale, fa molto chic.

E qualunque affermazione da chiunque fatta, anche la più evidentemente fasulla, è accolta come una “rivelazione”. Immancabilmente applaudita dagli irriducibili, dalla tifoseria zoccolo duro di quello che ormai da molti anni è diventato solo uno show, di scena perfino in parlamento con una apposita commissione d’inchiesta. Uno show malamente spacciato per ricerca della verità.

Emanuela Orlandi e il ladro gentiluomo

Emanuela Orlandi eccita la fantasia, elenco delle ultime patacche e false piste – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Il 14 novembre il settimanale Giallo, diretto dalla mia amica Albina Perri, ha pubblicato un’intervista al “ladro gentiluomo” Vincenzo Pipino, il cui soprannome è dovuto al fatto che le migliaia di furti collezionati non solo nella sua Venezia, tra i quali anche un dipinto del Canaletto, li ha compiuti senza mai usare la violenza e perché, come ci ha tenuto a dichiarare, “prendevo ai ricchi per dare ai poveri”.

Come che sia, ecco che Pipino, visto che per Emanuela si riparla per la quarta o quinta volta della “pista inglese”, a Giallo può ricicciare una storia già pubblicata il 16 maggio 2012 da Il Mattino di Padova e snobbata dai magistrati perché evidentemente fasulla.

Perché evidentemente fasulla? Almeno per due motivi:
1) – Intanto perché Sabrina Minardi di De Pedis non è mai stata l’amante. Lei stessa si è definita coi magistrati “una prostituta d’alto bordo”. E come tale lui la utilizzava per avvicinare i personaggi che gli facevano comodo per chiedere loro favori: con la spada di Damocle, se rifiutavano, di rendere di pubblico dominio le loro frequentazioni con la volenterosa Minardi.
2) – Ma soprattutto fasulla perché con un anticipo di due anni rispetto le “rivelazioni” di Pipino a Il Mattino di Padova lei aveva allagato la magistratura di “rivelazioni” su De Pedis, compreso l’avere rapito, avuto in custodia e poi consegnato a un prete Emanuela. Un mare di “rivelazioni”, tutte rivelatesi fasulle, ma senza mai nominare neppure di striscio Pipino e la storia del passaporto.

Che Pipino, autore del libro autobiografico intitolato Rubare ai ricchi non è peccato, fosse e sia dotato di bella fantasia lo si ricava anche dalle sue dichiarazioni sui suoi furti, quelli coi quali “prendevo ai ricchi per dare ai poveri”: in totale, addirittura quintali d’oro e centinaia di carati di pietre preziose.  E vabbè!

Il 3 settembre 2017 Pipino fa sapere che sulla sua vita sarà fatto un film. Film sul quale il 21 aprile 2018 sarà generoso nel fornire i particolari:

“Sì, ho un contratto con la The 20th Century Fox e in questi giorni sono stato messo in contatto dall’editor Becky Johnston, che ha scritto anche sette anni in Tibet, con Brad Pitt candidato all’Oscar. Il film è tratto dal mio primo libro “Rubare ai ricchi non è peccato”. Nel film c’è anche mio fratello Alfredo, un prestigiatore tra i migliori in Italia; lui fa sparire gli oggetti e poi li fa riapparire: io invece li facevo sparire e basta”.

Da filmone a docufilm

Il17 marzo 2019 il filmone è però ridimensionato a docufilm. Ma se si cerca via Google di Pipino si trova solo l’omonima favola per bambini, che non ha nulla a che spartire con l’omonimo ex ladro gentiluomo.

Le “rivelazioni” di Pipino a Giallo dilagano come oro colato su altri giornali, web pagine e social, a partire dalla web edizione  de Il Fatto Quotidiano, che le sparate di Pipino le rilancia alla grande come fossero vangelo. Nessuno fa controlli e neppure semplici analisi delle sue affermazioni. La “memoria storica” o almeno cronachistica (non solo) del caso Orlandi non esiste.

Motivo per cui al cantante di successo Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, il cui padre Mario è stato della Gendarmeria del Vaticano, nella lunga intervista del 24 novembre ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera viene chiesto “È vero che Emanuela Orlandi era vostra vicina di casa?”.

E lui può rispondere disinvoltamente “Sì”. Cosa assolutamente non vera visto che quando gli viene chiesto “Dove abitavate?” lui specifica “In via dei Cavalleggeri 107”. Il che significa ben fuori dal Vaticano e alcune centinaia di metri di distanza dalla piazzetta vaticana di S. Egidio dove abitavano gli Orlandi.

Ma tant’è, tutto fa brodo. Al punto che varie testate, web pagine e social, trascurando tutto il resto dell’intervista, faranno dire a Jovanotti che era vicino di casa di Emanuela perché lui abitava “a Porta Cavalleggeri”, modo sbrigativo per indicare Largo dei Cavalleggeri, comunque ben fuori dal Vaticano.

La sorella di Jovanotti, Anna Cherubini, quest’anno ci ha tenuto a scrivere il libro intitolato Diventeremo amiche. Presentato dall’editore Solferino con le seguenti parole:

“Esistono nella vita destini paralleli e due di questi destini si sono sfiorati, quattro decenni fa, all’ombra del Cupolone. Sono quelli di Emanuela Orlandi e di Anna Cherubini. Entrambe figlie di funzionari vaticani, entrambe con famiglie numerose e amati fratelli maggiori, entrambe appassionate di musica.

2La loro è un’adolescenza degli anni Ottanta: gli incontri ai giardinetti, le chiacchiere sui muretti, le corse in bici o sui pattini, la passione per le canzoni di Baglioni. Anna ha per la ragazzina più grande [Emanuela] un’ammirazione venata di timidezza: vorrebbe che fossero amiche. Pensa che forse presto lo diventeranno.

“Ma un giorno, quella ragazzina sparisce. E mesi dopo, il suo posto alla scuola di musica verrà preso proprio da Anna, che comincerà a frequentare gli stessi corridoi da cui lei è uscita, in quel giugno del 1983, per mai più tornare a casa. 
A distanza di tempo da quei fatti, Cherubini trova il coraggio per affrontare di petto la storia di un rapporto mai sbocciato”.

Tradotto in italiano, Anna ed Emanuela amiche non lo sono mai diventate: Emanuela è sparita prima che potesse iniziare un’amicizia diversa da un vedersi in gruppo fuori casa tutto sommato casuale. In quanto al “trovare il coraggio” e ai due “destini paralleli che si sono sfiorati”, è evidente che si tratta solo di affermazioni retoriche, ad effetto.  Eppure la presentazione del libro continua così, riportando concetti espressi dalla autrice nel suo libro:

“Una tragedia su cui da una vita [Anna Cherubini] si interroga: sarebbe potuto succedere a qualsiasi figlia di un impiegato del Vaticano? Sarebbe potuto succedere a lei?”.

Di sparizioni per motivi mai accertati a Roma – Roma, non Vaticano – solo nell’83 ci sono stati varie decine di  casi. In Italia spariscono migliaia di persone l’anno. E nel mondo un numero pauroso. Non per questo ogni romano, ogni italiano, ogni abitante del pianeta Terra si interroga “da una vita” chiedendosi: “sarebbe potuto succedere anche a me?”.

Evidentemente Anna Cherubini dà per scontato che Emanuela sia stata rapita perché come lei figlia di un impiegato del Vaticano. Su che basi lo dia per scontato non si sa, se non per la pubblicistica che in 41 anni NON ha mai cavato neppure un ragno dal buco. Come che sia, fa sorridere che, ironia della sorte, il libro di Cherubini sia stato pubblicato nella collana Pavoni. I pavoni, si sa, si pavoneggiano.

Chiudiamo col libro Cercando Emanuela, dell’avvocatessa Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi. Il libro ha come sottotitolo “Le verità nascoste e le nuove indagini sul ruolo del Vaticano nel caso Orlandi”.

Verità nascoste: quali? “Ruolo del Vaticano nel caso Orlandi”: ruolo? Quale? Parole evidentemente accusatorie  contro il Vaticano, ma sempre basate sulle solite basi chiacchieroniche. E su narrazioni e documenti prodotti dalla Sgrò e dal suo assistito, “pista londinese” e “sepoltura in Vaticano” comprese, che fino ad oggi si sono rivelati tutti solo fuffa.

L’avvocatessa Sgrò ha sostenuto a lungo, a partire dalla sua partecipazione il 18 aprile 2018 al programma televisivo Atlantide, condotto da Andrea Purgatori, che Pippo Calò, il grande rappresentante a Roma della camorra napoletana, condannato all’ergastolo e tenuto nel pesante regime carcerario del 41 bis, le aveva scritto che era “pronto a dire tutto quello che sa sulla scomparsa di Emanuela”, ma che “il ministero dell’Interno non vuole che io possa andare a parlargli”.

A parte il fatto che non si vede che c’entri il ministero dell’Intero, sta di fatto che qualunque matricola iscritta all’Università in Giurisprudenza sa bene che se un avvocato viene nominato come legale o avvocato difensore di un detenuto niente e nessuno gli può impedire di vederlo.

E infatti Laura Sgrò, senza dirlo ad Atlantide ma scrivendolo in Cercando Emanuela, con Pippo Calò ha potuto parlargli. E quali sono le “rivelazioni” per le quali come ospite di Purgatori suonava la grancassa? NESSUNA. Come ha dovuto ammettere nel suo libro, sia pure senza aggiungere che rispetto a quanto prospettato in televisione  s’è trattato di una delusione. Un palloncino sgonfio.  Un’altra patacca.

Insomma, come sempre: “Venghino, siòri, venghino: avanti c’è posto”.

Pino Nicotri

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