Mistero Orlandi: sorpresa! Anzi: soprese, al plurale! Perché le novità, davvero sorprendenti, sono due, anzi tre, non una.
La “pista inglese” è più vecchia di quanto si credesse. Lo scorso 25 febbraio ho scritto che la pista in questione, sulla quale Pietro Orlandi insiste ancora tanto nonostante sia stato accertato che si tratta di un volgare falso, è vecchia di 13 anni. Invece, grazie alla segnalazione di un mio generoso collega, Marco Cicala, ho potuto appurare che di anni ne ha tre in più: vale a dire, 16.
La pista in questione nasce addirittura con la misteriosa morte del banchiere Roberto Calvi, trovato impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri: un omicidio travestito da suicidio dovuto alla disperazione di Calvi per il fallimento della Banco Ambrosiano, all’epoca una delle principali banche private cattoliche, della quale era stato il presidente dal 1975 al 1982, provocato dalla massa di miliardi di lire (all’epoca l’euro non esisteva ancora) incautamente prestati alla banca vaticana I. O. R. (Istituto per le Opere di Religione) e non restituite.
Massa di miliardi di lire che l’allora Papa polacco Karol Wojtyla utilizzava per finanziare i movimenti anticomunisti della natia Polonia, ancora sottoposta – come l’intera Europa dell’Est – all’egemonia dell’allora esistente U. R. S. S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) capitanata dalla Russia.
Il nesso tra Orlandi e Calvi
A sostenere l’esistenza di un nesso tra il “rapimento” della Orlandi e il patatrac Ambrosiano-IOR, con annesso “suicidio” di Calvi, non è il “supertestimone” di turno, vale a dire di quelli che da 41 anni sparano “rivelazioni” sulla fine della ragazza immancabilmente rivelatesi più false dell’”oro di Bologna che si fa nero per la vergogna”.
A sostenere un tale legame, a partorire quindi la pista inglese, è infatti Carlo Calvi, figlio del banchiere morto a Londra. Anche lui però nel sostenere con i magistrati nel giugno 2008 questa tesi non ha saputo indicare nulla di concreto, nessuna prova o anche semplice indizio, se non la propria convinzione che si è trattato di “un messaggio”. A chi? Carlo Calvi 16 anni fa ai magistrati ha dato questa risposta, molto suggestiva:
“Il rapimento della Orlandi è un messaggio teso a intimare al Vaticano il silenzio su certe questioni molto delicate, come quelle di natura finanziaria, che hanno visto il coinvolgimento di banche, mafia, partiti politici. Queste oscure vicende, come il rapimento di Emanuela Orlandi, risulteranno sempre legate alla nostra vicenda, alla morte di mio padre e alla fine dell’Ambrosiano”.
Un messaggio intimidatorio, o meglio ricattatorio se non punitivo dunque, esattamente come alcuni hanno sostenuto e a volte sostengono ancora: dalla “supertestimone” fasulla Sabrina Minardi al giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci, audito il 16 maggio scorso.
L’ombra di Flavio Carboni
La pietanza servita a suo tempo da Carlo Calvi ai magistrati ha come condimento forte un caso di omonimia. In diverse società alle quali era interessato l’imprenditore sardo Flavio Carboni, processato per l’uccisione del banchiere, ma assolto anche in appello, figura tra i soci una certa Rita Gugel: stesso cognome, del quale si disse che in Italia era poco diffuso, di Angelo Gugel, veneto di Miane, provincia di Treviso, e fido aiutante di camera di Papa Wojtyla.
Quando Agca gli sparò in piazza S. Pietro domenica 13 maggio ’81 fu Gugel il primo a soccorrerlo, facendo allontanare velocemente l’auto dalla folla. I magistrati hanno chiesto alla DIA (Direzione Investigativa Antimafia) di accertare se quella Rita Gugel socia di Carboni fosse parente di Angelo, tramite verifiche anagrafiche e nelle camere di commercio.
I risultati hanno dimostrato che i due non erano né parenti né conoscenti. Eppure i giornali hanno continuato a ricamarci sopra, sostenendo addirittura che ad essere “rapita” doveva essere Raffaella Gugel, figlia di Angelo, ma che la somiglianza con Emanuela ha tratto in inganno i “rapitori”. Somiglianza che, come ho scritto in libri e articoli senza mai essere smentito, lo stesso Ercole Orlandi, padre di Emanuela, mi ha assicurato che tra le due ragazze non c’era affatto, neppure tra i rispettivi genitori.
Ciononostante i giornali hanno continuato a scrivere, e c’è chi lo sostiene ancora oggi, che la somiglianza tra le ragazze ha tratto in inganno i “rapitori”. E che frequentavano la stessa scuola. Inutili anche le smentite di Gugel padre, fatte nell’aprile 2018:
“Assurdo. Ero in Polonia con Wojtyla quando ci fu il sequestro. Non è vero che le due ragazze frequentassero la stessa scuola. E all’ epoca la mia famiglia non risiedeva ancora in Vaticano. In seguito, per evitare a Raffaella ogni giorno lunghi tragitti in bus, preferimmo iscriverla nel convitto delle suore Maestre Pie”.
Una certa Rita Gugel, indicata come sua parente, figurava in alcune società alle quali era interessato Flavio Carboni, processato e assolto per l’ omicidio del banchiere Roberto Calvi. Ma era davvero sua parente? La conosceva?
“Falsità. Non la conosco. Nemmeno a Miane, dove tutti si chiamano Gugel, l’hanno mai sentita nominare”.
Ma, forse a causa del fascino che Londra continua a esercitare anche se non è più da un bel pezzo la “swinging London” di una volta e anche se l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea, la pista londinese benché morta e cestinata due volte continua a essere servita in tavola.
The show must go on! Venghino siòri, venghino…. Avanti c’è posto.