La Corte d’Appello di Milano ha assolto un sindacalista dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di una hostess, un verdetto che ha sollevato un acceso dibattito. Il giudice ha spiegato che, sebbene l’imputato abbia compiuto “tocchi repentini” sulla donna, questi non erano tali da costituire violenza ai sensi della legge. La sentenza ha chiarito che i comportamenti dell’imputato non hanno posto la vittima in una condizione di assoluta impossibilità di reagire, dato che la condotta si è protratta per un breve lasso di tempo, “20-30 secondi”, durante il quale la donna avrebbe avuto la possibilità di allontanarsi.
Il processo e le polemiche
Il caso risale al 2018, quando il sindacalista, allora in servizio presso Malpensa, era stato accusato di violenze nei confronti di una hostess con cui aveva avuto un contatto per questioni sindacali. La prima sentenza del Tribunale di Busto Arsizio aveva assolto l’imputato, ma la Procura generale di Milano aveva chiesto in appello una condanna. Tuttavia, la Corte d’Appello ha confermato l’assoluzione, ritenendo che il comportamento del sindacalista non rientrasse nella definizione di violenza sessuale.
L’Associazione Differenza Donna e la legale della donna, l’avvocato Maria Teresa Manente, hanno criticato la decisione, definendola un “passo indietro di 30 anni”. La difesa del sindacalista, rappresentata dall’avvocato Ivano Chiesa, ha sostenuto che il comportamento dell’imputato non era percepibile come violento al momento dell’azione e che la reazione della vittima era stata tardiva. La Procura ha ora la possibilità di fare ricorso in Cassazione.
Le motivazioni e le reazioni
La Corte d’Appello ha sottolineato che mancavano i “requisiti di violenza, minaccia o abuso di autorità” per configurare il reato di violenza sessuale. I giudici hanno osservato che l’imputato non esercitava una supremazia concreta sulla donna e che i toccamenti erano di breve durata. Inoltre, è stato specificato che la corporatura dell’imputato non costituiva un fattore di intimidazione per la vittima.
La parte civile aveva argomentato che la vittima fosse in uno stato di vulnerabilità, dato il ruolo del sindacalista e la condizione psicologica in cui si trovava durante l’incidente. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che non vi fosse stata una manifestazione chiara di dissenso da parte della donna durante i brevi atti contestati. Il prossimo passo per la Procura generale di Milano e per la parte civile sarà il ricorso in Cassazione, in attesa di una decisione definitiva sulla questione.