Israele si appresta ad attaccare l’Iran dopo i 200 missili balistici tirati martedì sera su basi militari e zone popolate di tutto il Paese. Missili che sono stati respinti in “un impressionante lavoro di difesa“, spiegano esercito e politici israeliani. I danni però, a case e strutture civili ci sono. Quelli alle basi invece restano invece un segreto militare. Ora, dopo decenni di politica della deterrenza israeliana siamo quindi in una nuova fase, quella della “dura guerra contro l’asse del male dell’Iran, che cerca di distruggerci. Questo non accadrà, perché saremo uniti e, con l’aiuto di Dio, vinceremo insieme”, ha assicurato in un messaggio video il premier israeliano Benyamin Netanyahu.
Il premier israeliano, nonostante i pessimi rapporti con Biden, il presidente del Paese suo maggiore alleato, gli Stati Uniti, sa che gli obiettivi del suo esercito stavolta dovranno per forza essere decisi e condivisi con gli Usa. E Biden ha avvisato a distanza il primo ministro dichiarando che “non sosterrebbe un attacco ai siti nucleari iraniani”. Subito prima di un colloquio telefonico con lo stesso Netanyahu.
Se Netanyahu abbia davvero discusso di questa eventualità nell’incontro del pomeriggio a Tel Aviv con i direttori dell’intelligence, il ministro della Difesa e il capo di stato maggiore, non è dato sapere. Ma non è difficile immaginare che si potrebbero colpire siti vitali per l’economia di Teheran, già non proprio in buone condizioni. Funzionari israeliani hanno fatto sapere che l’aeronautica potrebbe bombardare infrastrutture strategiche dell’Iran, ossia piattaforme petrolifere o di gas, mettendo in ginocchio il Paese.
Teheran non ha difficoltà a immaginare il disastro che un attacco israeliano di massicce dimensioni potrebbe causare alla vita del Paese, ributtandolo indietro di decenni. E cala nuove carte. I pasdaran stanno lavorando per diffondere su siti e canali Telegram la posizione degli ayatollah: se Israele attaccasse gli impianti petroliferi, è la minaccia, verrebbero colpiti per ritorsione i siti di estrazione del greggio in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Azerbaigian, Kuwait e Bahrein, ha riferito Channel 12. Ossia di quella rete di Paesi arabi “amici” di Israele che, negli auspici di Teheran, potrebbero fare pressione.
La strada insomma è in salita anche per Netanyahu. E Teheran è ben consapevole di aver compiuto un passo che potrebbe cambiare la sua stessa storia.
C’è poi l’aspetto alleati dell’Iran. Dal 7 ottobre le fazioni armate dagli ayatollah si sono suddivise i compiti. L’Hezbollah ha bersagliato con droni e razzi. Gli Houthi yemeniti hanno lanciato missili balistici e ancora droni. Minori le iniziative delle “brigate” irachene. C’è poi la possibilità che si attivino cellule terroristiche come è già avvenuto nell’attentato di Jaffa. Nel complesso Israele ha gestito la minaccia, puntando sui suoi equipaggiamenti e sull’appoggio degli alleati. Se però dopo la risposta israeliana in Iran avvenisse un bombardamento simultaneo da ogni direzione sarebbe davvero difficile fare previsioni su quello che può accadere.
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