In Belgio, anche le parole contano. Forse troppo. Nel Paese che ha perfezionato l’arte del compromesso politico, persino un saluto mattutino può diventare una miccia esplosiva. Il Belgio, terra di cioccolato e birra, è anche un campo di battaglia linguistico, dove le parole sbagliate al momento sbagliato possono scatenare indagini ufficiali. Lo sa bene Ilyass Alba, un capotreno che ha osato salutare i suoi passeggeri con un educato “goeiemorgen, bonjour” durante un viaggio da Mechelen a Bruxelles. Un gesto inclusivo? Non per un pendolare fiammingo, che ha immediatamente protestato: “Non siamo ancora a Bruxelles, devi parlare solo olandese!”.
Il Belgio è un mosaico di lingue: fiammingo al nord, francese al sud, tedesco in alcune zone di confine e il bilinguismo di Bruxelles. Tuttavia, l’armonia è fragile. I fiamminghi, orgogliosi del loro idioma, non tollerano intrusioni linguistiche, soprattutto quando arrivano dal “rivalissimo” francese. La questione identitaria qui non è un dettaglio: è una bandiera, un muro e a volte una spada.
Per legge, nelle Fiandre i funzionari pubblici devono parlare esclusivamente fiammingo. Tuttavia, applicare questa regola su un treno che attraversa regioni diverse è complicato. Eppure, la Commissione per il controllo linguistico ha avviato un’indagine contro il capotreno. Il ministro francofono Georges Gilkinet ha difeso Alba, sottolineando che un benvenuto multilingue è un atto di cortesia, non una provocazione.