Misteri nel mistero Orlandi. La decisione vaticana di aprire le indagini era già stata presa il 10 aprile di tre anni fa, ma è un mistero che nessuno lo ricordi.
Il 9 gennaio di quest’anno il Vaticano ha annunciato che il nuovo Promotore di Giustizia Alessandro Diddi e la Gendarmeria hanno aperto ufficialmente le indagini, a distanza di quasi quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, ma l’avvocatessa Laura Sgrò e Pietro Orlandi hanno messo però subito le mani avanti dichiarando che il Vaticano non è in grado e non ha i mezzi per condurre una tale inchiesta.
E dire che Pietro, a suo tempo, e prima di convincersi a cambiare versione, aveva affermato di aver parlato con papa Francesco e che il colloquio, benché brevissimo, lo aveva “riempito di fiducia”. E’ un mistero come sia passato dalla grande fiducia all’accusare in blocco gli ultimi tre pontefici, compreso Francesco, di “conoscere la verità e nasconderla”.
Come se non bastasse, l’avvocatessa e il suo cliente insistono a far notare che a capo della sua magistratura c’è quel Giuseppe Pignatone che prima, da procuratore della Repubblica del tribunale di Roma, aveva voluto l’archiviazione dell’inchiesta giudiziaria che pestava l’acqua nel mortaio da anni. Tradotto in italiano significa che, se le conclusioni dell’inchiesta non saranno quelle che vogliono Pietro Orlandi e Laura Sgrò, loro non smetteranno di richiedere al Vaticano di dire la verità su quanto è successo, presumendo che stia invece coprendo chissà quali crimini.
Pietro Orlandi però ha già la pista di ricambio. Il 20 gennaio del 2023, TgCom24 annuncia infatti una pista inglese, più esattamente londinese:
«Sto lavorando su un contatto con una persona, mi sto fidando ma ci sto andando con i piedi di piombo, perché mi dice delle cose che sto valutando alle quali credo», ha detto durante un incontro con la stampa estera. «Mi ha dato documenti che sono legati alle situazioni di Londra e che vanno presi in un certo modo. Voglio approfondirli, perché potrebbero essere interessanti.»
Pietro deve aver dimenticato che la pista londinese è già stata sparata due volte. E sparata alla grande. Nel 2011, dopo essere tornato dall’Inghilterra – dove s’era precipitato spinto dalle «rivelazioni» dell’ex 007 fasullo Luigi Gastrini su Emanuela ricoverata «in un manicomio a Londra» – ha dichiarato: “Torno con uno spiraglio aperto” e “sono in attesa di altri riscontri”.
Che fine hanno fatto lo “spiraglio aperto” e i “riscontri”? Mistero. Mistero anche come mai nessuno glielo chieda. La pista inglese è stata sostenuta anche dal giornalista Emiliano Fittipaldi col suo libro Gli impostori.
Come che sia, il 4 aprile 2023 Pietro Orlandi nel programma televisivo Dimartedì si dichiara convinto che Emanuela sia morta a Londra, nella residenza dei Padri Scalabriniani. Convinzione basata su una lettera del 1993 dell’arcivescovo di Canterbury al Vicario di Roma, il cardinal Poletti, e avente per oggetto Emanuela e la proposta di incontrarsi per parlarne.
Lettera chissà perché indirizzata a Clapham Road, sede degli Scalabriniani, anziché al recapito del Vicariato di Roma. Per giunta Pietro ha dichiarato che non ha senso credere che la salma di Emanuela sia stata trasferita da Londra a Roma. Così stando le cose, perché allora insiste sulla pista del Teutonico e a dichiarare: “Io Emanuela la cerco e la cercherò sempre da viva”?
In ogni caso, anche sull’inchiesta giudiziaria vaticana incombe la minaccia di nuove strabilianti dichiarazioni di Alì Ağca, che già il giorno successivo all’annuncio vaticano, ovvero il 10 gennaio, alla stampa promette nuove “rivelazioni” corredate da “prove”. Per ora, le ultime “rivelazioni” di Ağca risalgono al 13 dicembre scorso e indicano nel “governo vaticano”, quindi in Wojtyła, il mandante del “rapimento” di Emanuela, “che consegnata poi alle suore di un convento accettò il suo destino”.
Un destino che ignora accanitamente l’esistenza del telefono e di tutti gli altri mezzi di comunicazione. Com’è possibile infatti che in quarant’anni Emanuela da viva non abbia mai telefonato o comunque fatto avere sue notizie ai familiari, nonostante loro stessi non smettano di cercarla dappertutto ricorrendo, com’è comprensibile, a tutta la visibilità concessa dai media? Questo essere viva senza però farlo sapere alla sua famiglia è un altro bel mistero….
Ma la disinvoltura di Pietro Orlandi va anche oltre le piste inglesi. Nonostante sia stato DIMOSTRATO che l’espressione “Pignatone nostro” NON è mai stata usata da Carla Di Giovanni, vedova De Pedis, Pietro continua ad attribuirgliela per insinuare se non una combine tra lei e il magistrato almeno una eccessiva disponibilità di questi nei suoi confronti. Pietro inoltre insiste a dire che Pignatone all’avvocato Maurilio Prioreschi, legale della Di Giovanni, promise che avrebbe archiviato l’inchiesta. Ma l’avvocato smentisce inferocito:
“Ormai qualunque cosa dica Pietro Orlandi viene presa per oro colato, è un mistero come mai nessuno osi chiedergli prove o fargli notare le contraddizioni tra le varie “rivelazioni”. Sta di fatto che a me Pignatone non ha mai promesso niente. Io gli ho sollecitato l’apertura della tomba di De Pedis, perché mai e poi mai la vedova Carla di Giovanni e i fratelli di De Pedis avrebbero dato il permesso di trasferire la tomba se prima non veniva aperta e controllato il contenuto dai magistrati”.
Il 7 marzo di quest’anno, Pietro Orlandi nel programma DiMartedì, si è spinto a dichiarare che “ci fu una trattativa tra Vaticano e Procura di Roma per la restituzione del corpo di mia sorella”. Il Vaticano tramite i suoi inviati Domenico Giani e Costanzo Alessandrini, rispettivamente ex comandante ed ex vicecomandante della Gendarmeria vaticana, avrebbe cioè tranquillamente ammesso, al magistrato che conduceva l’indagine, la propria responsabilità nella scomparsa e nella morte di Emanuela!
E il magistrato, Giancarlo Capaldo, anziché ordinare immediatamente l’arresto dei due inviati si sarebbe tenuto per sé la clamorosa notizia: tacendola sia alla collega Simona Maisto, che lo affiancava nell’inchiesta, sia al loro capo, cioè al Procuratore della Repubblica. Per poi infine – altro mistero – ometterla anche nella propria requisitoria…
Mah!