Mistero Orlandi. Giovedì 18 la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori ascolterà in audizione il magistrato in pensione anticipata Giancarlo Capaldo, che in qualità di procuratore aggiunto si è occupato dell’ultima inchiesta giudiziaria sul mistero Orlandi. Inchiesta durata dal 2008 al 2015 e comprensiva delle bufale delle “rivelazioni” del “reo confesso” Marco Fassoni Accetti. Per questa audizione c’è molta attesa.
L’attesa è dovuta a frasi di Capaldo e loro libere interpretazioni avvalorate col solito clamore da Pietro Orlandi secondo il quale a suo tempo c’è stata una vera e propria trattativa tra il magistrato, il capo e il vicecapo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani e Costanzo Alessandrini. Trattativa in base alla quale il magistrato avrebbe fatto traslocare dalla basilica di S. Apollinare la sepoltura dell’asserito “boss della banda della Magliana” Enrico De Pedis e i due della Gendarmeria gli avrebbero fatto sapere che fine ha fatto Emanuela.
Capaldo in realtà, contrariamente a quanto insiste a ripetere Pietro Orlandi, non ha mai detto che con i due dirigenti della Gendarmeria vaticana aveva raggiunto un accordo del tipo “io faccio traslocare la sepoltura di De Pedis dalla basilica di S. Apollinare e voi mi dite che fine ha fatto Emanuela Orlandi”.
Quando i due della Gendarmeria sono andati a chiedergli il trasloco della salma lui ha buttato lì più o meno scherzosamente la frase “E voi cosa mi date in cambio?”. Dopodiché è nato un cazzeggio da bar del tipo “Mi dite che fine ha fatto Emanuela?”, con i due ufficiali della Gendarmeria che anziché offendersi per la grave insinuazione contenuta nella domanda e rispondere a tono hanno preferito glissare diplomaticamente ed evasivamente con un “Vediamo”.
Cazzeggi ed esagerazioni a parte, ci sono da fare alcune considerazioni. E a Capaldo ci sarebbe da fare qualche domanda, che raccomando alla Commissione.
1) – Capaldo NON poteva ordinare nessun trasloco della sepoltura di De Pedis per il semplice motivo che si trattava di una proprietà privata della vedova, Carla Di Giovanni. La quale da un bel pezzo gli aveva chiesto di disporre il controllo del contenuto della bara per porre fine al demenziale delirio scatenato con la telefonata “anonima” di “Chi l’ha visto?”, mandata in onda nel settembre 2005. La vedova voleva poter trasferire la salma in un cimitero senza che poi venisse accusata di averla trasferita senza controlli per fare sparire il cadavere della Orlandi.
2) – La sepoltura di De Pedis in S. Apollinare era già stata oggetto di una inchiesta del magistrato Andrea De Gasperis condotta dal 1995 al 1997. E conclusa con una archiviazione perché NON c’era nulla di irregolare, illegale o sospetto Capaldo chissà perché ha preferito comportarsi a mo’ di gatto che gioca col topo, in questo caso la vedova. Ha tirato per le lunghe una vicenda già controllata e archiviata dalla magistratura e resuscitata da una telefonata che oltretutto non risulta partita con certezza dall’esterno della Rai. Telefonata mandata in onda monca perché se trasmessa intera si sarebbe capito subito che era una goliardata. Come è stato chiaro quando finalmente, dopo vari anni e a danni fatti, “Chi l’ha visto?” l’ha mandata in onda per intero.
3) – Domanda quindi d’obbligo: perché Capaldo ha aspettato così tanto tempo per ordinare il controllo della bara?
4) – Altra domanda d’obbligo: perché Capaldo NON ha tenuto in nessun conto il lavoro del suo collega magistrato Andrea De Gasperis, vale a dire l’inchiesta durata dal 1995 al 1997? Inchiesta che aveva appurato come nel trasferimento della salma De Pedis dal cimitero del Verano alla basilica di S. Apollinare benché fosse un fatto decisamente insolito non c’era assolutamente nulla di illegale, irregolare, strano o sospetto.
Oltretutto, poiché la salma veniva trasferita dal territorio dello Stato italiano alla basilica, territorio anche quello dello Stato italiano dotato però di prerogative proprie afferenti a un altro Stato, qual era ed è il Vaticano, il contenuto della bara era stato sicuramente controllato. Era stato cioè sicuramente constatato che nella bara c’era solo ed esclusivamente la salma di De Pedis e NON anche quella di Emanuela Orlandi e/o di Mirella Gregori.
5) – Dopo il trasloco della sepoltura Capaldo ha chiesto al giornalista Pino Nicotri, cioè a me, un contatto con la Segreteria di Stato: PROVA CERTA, dunque, che lui con la Segreteria NON aveva e NON aveva avuto nessun contatto: era rimasto fermo al cazzeggio coi due della Gendarmeria. Che in ogni caso NON avevano nessun potere di trasmettergli eventuali notizie e documenti sulla Orlandi perché, SE esistenti, sarebbero stati di competenza NON del loro ufficio, ma della Segreteria di Stato. Dalla quale non avrebbero quindi potuto prelevarli e neppure averli su richiesta per trasmetterli a un altro Stato, quello italiano, compito semmai di competenza della sola Segreteria, che equivale infatti a un ministero degli Esteri.
6) – Il Vaticano, Gendarmeria e/o Segreteria di Stato, NON aveva nessun titolo per condurre indagini sulla scomparsa della Orlandi perché la denuncia era stata fatta, da Natalina Orlandi il 23 giugno ’83, SOLO ED ESCLUSIVAMENTE alla polizia italiana, cioè dello Stato italiano, e NON anche alla Gendarmeria, organo di un altro Stato, quello del Vaticano, sovrano quanto lo Stato italiano. La denuncia alla Gendarmeria è stata fatta solo qualche anno fa – nel 2017 – SOLO ED ESCLUSIVAMENTE perché una ben precisa persona del Vaticano ha preso Pietro Orlandi per il bavero e gli ha letteralmente urlato in faccia “Perché anziché diffamare e accusare a vanvera il Vaticano non ci hai mai fatto neppure te qui la denuncia?”.
7) – Perché Capaldo non ha fatto nulla quando il giornalista Pino Nicotri – cioè il sottoscritto – il 4 ottobre 2011 gli ha consegnato la registrazione di due sue telefonate all’avvocato Egidio, legale storico degli Orlandi, in una delle quali si sentiva Egidio essere già al corrente del fatto che il magistrato Martella aveva detto a Nicotri: “Sica ha indagato poco o niente perché era convinto che fosse una storia tra Emanuela Orlandi e suo zio Mario Meneguzzi”. Telefonata della quale ho raccontato già in un articolo.