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Mistero Orlandi, Nicotri nel labirinto di zio Mario,barman e tipografo nel tempo libero

Il mistero Orlandi si infittisce. E avrebbe potuto complicarsi ancora di più di quanto temeva il magistrato Domenico Sica se avesse preso in considerazione una strana coincidenza.
I genitori di Emanuela Orlandi una settimana dopo la scomparsa della figlia
fecero affiggere in tutta Roma nella notte tra il 29 e il 30 giugno 1983 oltre 3mila grandi manifesti per chiedere a chi l’avesse vista di farsi vivo telefonando a casa loro.
Una settimana dopo, cioè il 7 luglio, il vice direttore dei servizi segreti civili (SISDE) Vincenzo Parisi inviava alla segreteria del ministro dell’Interno una informativa nella quale tra l’altro si legge quanto segue:
“Per quanto concerne i manifesti recentemente affissi sui muri di Roma, si è appreso che essi sono stati stampati di iniziativa della famiglia Orlandi presso la tipografia “La Piramide” di proprietà dello zio della ragazza”.
Di proprietà cioè dello zio Mario Meneguzzi. Come del resto ebbe a dire lui stesso in una telefonata nella quale facendo finta di essere il padre di Emanuela disse che la tipografia era dello zio, cioè sua.
La strana coincidenza consiste nel fatto che tale tipografia nel giugno di quattro anni prima – 1979 – aveva stampato il primo e l’ottavo numero del periodico “Metropoli l’Autonomia possibile”, tentativo di unificare diventandone l’organo stampa del famoso e molto frammentato movimento dell’Autonomia Operaia.
Antagonista del partito comunista e dei sindacati ufficiali, Autonomia Operaia era ritenuta dalle autorità vicina alle Brigate Rosse, cosa peraltro assolutamente non vera, se non addirittura, assieme a Metropoli, la direzione di tutta la lotta armata nazionale, altra convinzione totalmente avulsa dalla realtà.
La Piramide forse stampò anche il secondo numero, nel quale però non è riportato il nome dello stampatore.
Il primo numero pubblicava anche un fumetto sul rapimento dell’onorevole Aldo Moro compiuto dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978.
Moro era un dirigente democristiano ed era stato varie volte ministro in dicasteri importanti e per tre volte capo del governo. Il rapimento purtroppo venne concluso con la sua uccisione l’8 maggio successivo. Poiché il fumetto riportava particolari ritenuti dalla polizia stranamente precisi il primo numero di Metropoli fu sequestrato in tutte le edicole già due giorni dopo esserci arrivato.
Il libro L’aspra stagione, di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale, che narra la parabola umana e professionale del giornalista di Repubblica Carlo Rivolta, ucciso ad appena 32 anni da una overdose di eroina, riporta un verbale relativo alla perquisizione della tipografia La Piramide e al sequestro di tutto il materiale del primo numero di Metropoli. “Materiale – specifica il libro – depositato con plico sigillato all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Roma”.
Perché per Metropoli venne scelta la tipografia di Mario Meneguzzi? Probabilmente perché suo figlio Pietro, assunto all’età di 20 anni come commesso alla Camera, secondo il SISDE militava proprio nell’area dell’Autonomia Operaia di Roma. Militanza il 22 luglio segnalata dal SISDE all’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni.
In tema di tipografie c’è da rilevare
un’altra coincidenza curiosa. La polizia di Roma il 17 maggio 1978 perquisisce in via Pio Foà la tipografia del brigatista Enrico Triaca e scopre che la stampatrice AB-DIK260T era appartenuta al Raggruppamento Unità Speciali (RUS) dell’Esercito, emanazione dei servizi segreti militari. Il RUS l’aveva dismessa come inservibile e l’acquirente l’aveva poi venduta a Triaca.
Insomma, alla miscela esplosiva già segnalata con il precedente articolo, a fronte della quale Sica probabilmente non ha ritenuto opportuno insistere con le indagini, c’è da aggiungere la dinamite o la bomba atomica che poteva arrivare da indagini sulla tipografia di Mario Meneguzzi e annessi contatti con Metropoli.
A maggior motivo quindi Sica può avere ritenuto che non era il caso di approfondire troppo.
A questo proposito il magistrato Giovanni Malerba, subentrato nel mistero Orlandi come Procura Generale della Repubblica assieme al giudice istruttore Adele Rando, mi ha precisato:
“Non ho detto che Sica, durante la sua gestione, sia rimasto inerte e non abbia compiuto attività istruttorie; è possibile che abbia svolto attività di indagine, ma personalmente non ho reperito atti significativi tali da inserirli nel mio indice [degli atti processuali]”.
Una conferma che Sica, convinto in modo definitivo che il mistero Orlandi fosse “una storiaccia sessuale tra Emanuela e qualche adulto a lei molto vicino” e più precisamente, secondo quanto riferitomi nel 2002 dal magistrato Ilario Martella,  convinto che “fosse una storia tra la nipote e lo zio Mario Meneguzzi”, ha evitato di inoltrarsi in territori potenzialmente esplosivi.
 
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