Mistero Orlandi, servirà a ben poco la Commissione parlamentare appena istituita. e vi spiego perché.
La mia scarsa fiducia nelle commissioni parlamentari d’inchiesta deriva da un fatto preciso, che mi pare decisamente grave.
Nella seconda commissione sul rapimento e uccisione dell’onorevole Aldo Moro, democristiano più volte capo del governo, commissione istituita con la legge 82 del 30 maggio 2014 e presieduta dall’onorevole del PD Giuseppe Fioroni, il 3 marzo 2015 nella seduta iniziata alle ore 21 è stato audito il magistrato Franco Ionta, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma.
Rispondendo a domande del deputato del PD Gero Grassi, Ionta ha riferito quanto gli avevo testimoniato in una deposizione, pretesa da lui a tutti i costi anche con minacce di denuncia per reticenza, riguardo un particolare del mio libro Tangenti in confessionale.
Libro edito nel ’93, in piena epoca del ciclone giudiziario Mani Pulite, detto anche Tangentopoli e noto per avere spazzato via vari partiti, che s’è scoperto incassavano mazzette e tangenti soprattutto sui lavori pubblici, e con essi quella che è stata poi chiamata la Prima Repubblica.
Il particolare in questione se indagato e approfondito avrebbe potuto permettere di scoprire perché il drappello di poliziotti inviato per liberare Moro una volta arrivato a un isolato di distanza dalla “prigione del popolo” ricevette l’ordine di tornare indietro.
Da notare che ho riferito tutto ciò a uno dei primissimi parlamentari che hanno proposto la commissione bicamerale sul mistero Orlandi. Non intendo almeno per ora farne il nome, ma ho dovuto prendere atto che ha preferito non fare nulla, esattamente come nel 2011 e 2012 anche l’allora onorevole Walter Veltroni. E dire che se l’ex poliziotto del quale parlerò qui di seguito fosse ancora vivo il mistero potrebbe finalmente essere risolto.
Tangenti in confessionale riportava i dialoghi, che ho debitamente registrato di nascosto, tra me e una 50ina di sacerdoti confessori di decine delle più famose chiese italiane: di Torino, Milano, Napoli, Verona, Roma, Vaticano, Padova…
Io mi presentavo sempre come un politico pentito che confessava di avere accettato metodicamente i soldi delle tangenti o a volte come un imprenditore pentito che confessava di avere usato i soldi delle tangenti per corrompere i politici.
L’episodio del drappello di poliziotti che arrivati a un isolato dalla “prigione del popolo” ricevettero l’ordine di tornare indietro mi è stato riferito nei primi giorni, tra il 3 e il 5, dell’agosto 1993 nella chiesa del Gesù in piazza del Gesù a Roma.
Me ne ha parlato un confessore sacerdote gesuita – don Blandino o don Rozzi, nel primo confessionale a destra entrando in chiesa – che lo aveva appreso da uno di quei poliziotti: per la precisione, da quello che era stato un suo alunno quando insegnava.
Volendo – ripeto: VOLENDO – la commissione avrebbe potuto rintracciare facilmente il poliziotto ex alunno del sacerdote gesuita. Questi infatti mi aveva confidato che:
– quel suo ex alunno si era arruolato in polizia ed era diventato basco nero;
– gli aveva chiesto il permesso morale, accordato senza problemi, di venire infiltrato nelle Brigate Rosse;
– “disgustato per la mancata liberazione di Moro si è dimesso dalla polizia”;
– “è tornato a lavorare nella falegnameria del padre”.
A Ionta avevo consegnato copia della registrazione della mia “confessione” nella chiesa del Gesù e indicato che il confessore era quello del primo confessionale a destra entrando nella chiesa. Confessionale che recava scritto nella apposita targa di metallo in alto il nome del confessore e gli orari nei quali raccoglieva le confessioni.
Nel rispondere a Gero Grassi e consegnare un pacco di documenti giudiziari il magistrato ha detto:
“Ci sono anche le dichiarazioni di un giornalista, Nicotri – non ricordo il nome – che aveva intervistato il confessore di Andreotti. C’è il verbale anche di questo”.
Dopo 12 anni dall’avermi interrogato il magistrato ricorda male e fa un po’ di confusione. Confonde le mie “confessioni” con delle interviste. Inoltre il mio confessore della chiesa del Gesù non è sicuro che fosse il confessore di Andreotti, anche lui democristiano e più volte capo del governo, che però in quella chiesa, poco distante da casa sua, andava a Messa ogni mattina.
E questo è il motivo per il quale ho scelto anche quella chiesa per scrivere il libro. Ionta inoltre confonde il sacerdote della chiesa del Gesù con il confessore di Francesco Cossiga – politico democristiano a suo tempo anche presidente della Repubblica – col quale mi sono “confessato” nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina nella omonima piazza.
Andreotti la sua segreteria particolare l’aveva in un palazzo di quella piazza e questo è il motivo per cui ho scelto anche quella chiesa.
E’ evidente che di poliziotti baschi neri, infiltrati nelle BR, dimessisi dalla polizia e col padre falegname, NON doveva certo essercene una marea. Individuare l’ex alunno del gesuita della chiesa del Gesù era una gioco da ragazzi.
Alla commissione parlamentare Ionta aveva fatto esplicitamente il mio nome avvertendola che gli avevo detto certe cose e le aveva consegnato un pacco di documenti compreso quello che riguardava me. Ma la commissione NON ha fatto nulla. ASSOLUTAMENTE NULLA! Ha preferito NON FARE ASSOLUTAMENTE NULLA anche l’allora onorevole Walter Veltroni, come spiego meglio nel Post Scriptum alla fine di questo articolo.
La commissione ha preferito dare corda al deputato del PD Miguel Gotor, che passa per essere anche “uno storico e saggista”, e al suo libro Il memoriale della Repubblica. Nel libro Gotor prende un granchio colossale, sufficiente a svalutarlo o squalificarlo come storico e saggista. Parlando dell’incontro a Roma nel luglio ’78 tra Franco Piperno, ex leader Potere Operaio diventato leader di Autonomia Operaia, e Mario Moretti, leader delle Brigate Rosse, Gotor spiega che è “avvenuto in una casa alto borghese situata nei dintorni di piazza Cavour”, per poi aggiungere una “curiosa coincidenza topografica”.
Gotor sostiene che nel ’78 vicino piazza Cavour abitava il giornalista de L’Espresso Mario Scialoja, i cui articoli erano sempre bene informati riguardo le Brigate Rosse e dintorni. E che di conseguenza la casa della “clamorosa riunione” potesse essere proprio la sua.
Peccato che nel ’78 Scialoja abitasse ancora ai Parioli, in via S. Valentino 18, dove ero ospite tutte le volte che andavo a Roma non solo per scrivere assieme articoli di eversione e terrorismi per L’Espresso, settimanale del quale ero collaboratore fisso. Così come ero ospite nella casa vicino piazza Cavour quando Scialoja ci si è trasferito nella seconda metà del ’79.
Nel mio libro Cronaca criminale, edito nel 2010, ho descritto il mio incontro con Ionta.
“Dopo la pubblicazione del mio libro, il pubblico ministero Franco Ionta mi ha convocato per interrogarmi e chiedermi chi fosse esattamente quel confessore. Nonostante il tono perentorio del magistrato, con velata minaccia di guai giudiziari, ho opposto il segreto professionale, specificando però che ero disponibile a rispondere, ma solo dopo che l’Ordine dei giornalisti mi avesse sciolto, su mia richiesta, dall’obbligo del segreto.
“Tornato a Milano, ho chiesto per iscritto di esserne sollevato data l’importanza dell’argomento e della mia testimonianza. Ottenuto il permesso, sono stato riconvocato a Roma da Ionta, e questa volta gli ho portato una copia del nastro con il dialogo nel confessionale.
Man mano che ascoltava il nastro il magistrato si incupiva sempre di più. E ogni tanto continuava a ripetermi: «Ma non le sembra strano?» Ho cominciato a sentirmi a disagio, e a un certo punto ho temuto che magari venissi accusato di avere falsificato il nastro.
All’ennesimo «Ma non le sembra strano?» mi sono stufato e ho ribattuto: «A me sembra strano, anzi stranissimo, però la sua è una domanda che dovrebbe rivolgere non a me, ma al confessore».
Silenzio di gelo. Finito il nastro Ionta guardandomi in modo che mi è parso ostile mi ha chiesto: «E chi sarebbe questo confessore?»
«Credo lei volesse dire “chi è” e non “chi sarebbe”. Comunque la risposta è semplice: quello che riceve nel primo confessionale a destra entrando in chiesa», ho risposto specificandone anche il nome: «C’è affissa una targhetta in ottone con scritto come si chiama il confessore e gli orari durante i quali è presente».
«E che lo interrogo a fare? È chiaro che mi opporrà il segreto del confessionale».
“Beh, ma scusi, dottor Ionta, per arrivare a questa conclusione non c’era bisogno di farmi sciogliere dall’obbligo del segreto e farmi tornare a Roma. Ma se non intende interrogarlo, qual è il motivo per cui ne vuole sapere il nome? Qualcuno vuole forse chiedere anche a lui di tacere?”.
“Ma come si permette!”.
“Guardi che quel confessore non può assolutamente accampare il segreto perché ha detto chiaro e tondo, come lei ha sentito ascoltando il nastro, che il suo ex alunno in realtà non è andato a confessarsi, a parlare cioè dei propri peccati, ma solo a chiedergli un consiglio. Lei perciò può e anzi deve interrogarlo. E se non risponde lo può anche arrestare o comunque mandare sotto processo. Proprio come ha minacciato di fare con me. O devo pensare che secondo lei io ho meno diritti del gesuita?”.
“Nicotri, guardi che qui cosa fare lo decido io. Lei non può certo starmi a dire cosa devo o non devo fare”.
“Con la sua coscienza se le vede lei. Comunque guardi che questa è l’unica occasione di chiarire finalmente la bruttissima faccenda della mancata liberazione di Moro. E in ogni caso, confessore o non confessore, è sicuro che non ce ne sono tante di ex teste di cuoio figli di falegnami infiltrate nelle Brigate Rosse e scappate dalla polizia dopo la faccenda Moro per andare a fare il falegname dal papà. Se questo ex poliziotto lo cercate, lo trovate di sicuro. Se lo volete trovare, naturalmente”.
“Ah, ma allora lei non vuole capire! Qui comando io, e lei non deve assolutamente dirmi cosa cavolo devo fare!”.
Conclusione? È che sono uscito dal palazzo di Giustizia vergognandomi. Vergognandomi della mia disponibilità con il magistrato. E vergognandomi d’essermi fatto sciogliere dall’obbligo del segreto. Mi sentivo molto a disagio, in imbarazzo con me stesso.
Per chi volesse saperne di più anche sui dialoghi delle mie due “confessioni” nella chiesa del Gesù e in quella di S. Lorenzo in Lucina, oltre che delle reazioni di Cossiga quando gliene ho scritto. consiglio di leggere l’apposito mio articolo, che ne parla diffusamente.
POST SCRIPTUM – Di quanto appreso dal confessore della chiesa del Gesù ho scritto via mail nel 2011 all’allora ancora onorevole Walter Veltroni. Che mi ha promesso sempre via mail che avrebbe letto quanto gli avevo inviato e che avrebbe provveduto a sollevare il problema della mancata liberazione di Moro.
A quell’epoca, 12 anni fa, era ancora probabile, più di oggi, che l’ex poliziotto fosse in vita. Trovarlo avrebbe potuto risolvere il mistero della mancata liberazione in un caso che è diventato una tragedia nazionale. Che a chiacchiere sta sempre molto a cuore a tutti i politici. A chiacchiere.
Nonostante lo scambio di mail andato avanti anche nel 2012 per sollecitarlo, Veltroni esattamente come la commissione parlamentare NON HA FATTO ASSOLUTAMENTE NULLA.
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