La morte di Paolo Annibaldi segna un altro passo verso l’oblio di uno dei periodi più tormentati della storia recente e del ruolo che ebbe la Fiat nella lotta al terrorismo e nello sforzo di riportare l’Italia sulla linea di galleggiamento.
Paolo Annibaldi aveva 85 anni, era nato a Jesi (Ancona) nel 1938 e si era trasferito a Torino, dove ha vissuto il resto dei suoi giorni, tranne la parentesi romana. Entrato in Fiat nell’ufficio personale degli stabilimenti di Mirafiori e Stura, nel 1972 e diventò reponsabile delle Relazioni Industriali prima per gli stabilimenti Fiat Auto di Torino e provincia, successivamente per tutto il gruppo Fiat.
Simpatico, cordiale, anche un po’ charmant, con un sense of humour insolito dalle parti di corso Marconi dove le battute di spirito erano prerogativa di Gianni Agnelli, era un simbolo del rinnovamento del management Fiat voluto da Umberto Agnelli. Umberto Agnelli aveva affrontato con decisione due temi che si sono rivelati fondamentali per il futuro della Fiat. Uno, lo spachettamento dell’Azienda, dal monolito di suo nonno e Valletta e un Gruppo di 10 società con forte autonomia operativa e decisionale cosa che ha permesskto nei decenni successivi alleanze, fusioni e scissioni a livello mondiale.
L’altro il ringiovanimento della gerontocrazia creata da Valletta, con dirigenti ottantenni, in un gruppo di giovani capaci di guidare la Fiat nei turbolenti anni post ’68. Il limite di 60 anni per il pensionamento dei dirigenti Fiat fu definito taglio all’umberta (come quello dei capelli)
Paolo Annibaldi aveva 34 anni quando assunse l’incarico di capo delle relazioni sindacali, ne aveva 37 suo fratello Cesare. A loro si unirono Luca Montezemolo (aveva 26 anni), Carlo Callieri, Umberto Quadrino, Antonio Mosconi, Franco Bernabé, Filippo Pralormo, e, portato da Romiti, Paolo Mattioli. (I giornali, nei coccodrilli, attribuiscono a Cesare Romiti un merito non suo, quello di avere costruito quel team, cosa che invece fu opera di Umberto Agnelli; Romiti assunse la guida dellaFiat solo nel 1980. Che la Stampa ignori un pezzo di storia di Torino affidandosi a poche righe di agenzia è un esempio di cattivo giornalismo e spiega perché il giornale venda un settimo di quanto vendesse pochi anni fa).
Le sue caratteristiche personali ne facevano un uomo adatto a farsi portatore delle istanze della grande industria metalmeccanica a livello nazionale. Erano gli anni di piombo, certi politici erano pronti a riconoscere come interlocutori le Brigate Rosse, i terroristi erano infiltrati nei ministeri.
Pochi ricordano quegli anni, fra rumori di colpi di Stato e il rischio di uscire di casa e trovarsi una pallottola in una gamba o in testa. Questo per determinate categorie, dirigenti industriali, forze dell’ordine, magistrati, giornalisti. Per gli italiani era un senso di disagio permanente, di odio diffuso, di sfida sociale senza confini: dalla voce del radio taxi alla hostess dell’Alitalia che ti mandava al diavolo. Federico Fellini trasfigurò quegli anni nel film Prova d’orchestra e fu profeta.
Lo choc causato dal licenziamento, nel 1979, di 61 lavoratori turbolenti (quando Umberto Agnelli anticipò a Francesco Cossiga, allora primo ministro, la notizia, il politico mancò poco che avesse uno svenimento) e poi lo scontro culminato con il blocco di Mirafiori (1980) portarono a una forte attenuazione della virulenza sindacale e l’inizio di un ritorno del Paese alla normalità.
Per festeggiare i suoi 80 anni, nel 2018, Paolo Annibaldi riunì nella sua casa di Torino, con altri amici illustri, alcuni dei reduci di quegli anni. Fu emozionante ma fu anche il segno che il ricordo di quel tempo era ormai sbiadito e ingrigito, come i capelli dei presenti.
Paolo Annibaldi fu nominato direttore centrale per i rapporti sindacali della Confindustria nel 1976, di cui diventò vicedirettore generale nel 1979 e direttore generale nel 1984 fino al 1991.
Per molti anni è stato consigliere del Cnel,e ha ricoperto ancora incarichi di alto livello nel Gruppo Fiat.
Lascia una figlia, Elena, che gli era molto devota e gli è stata accanto fino alla fine.
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