Ha ucciso a caso Sharon, poi, dopo il delitto, ha partecipato a una grigliata con gli amici e infine, cercando di tenere un qualche souvenir dell’omicidio, ha preso il coltello e invece di gettarlo via lo ha sotterrato nei pressi di un argine dell’Adda.
Questo quel che emerge dalle 40 pagine scritte dalla Gip di Bergamo, Raffaella Mascarino, che ha convalidato il fermo e ha disposto la custodia cautelare in carcere per Moussa Sangare, il 30enne accusato dell’omicidio di Sharon Verzeni nella notte tra il 29 e il 30 luglio.
La ricostruzione
Sangare, si legge, ha spiegato che “la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto” – l’aver vagato in giro fino a incontrare il bersaglio più fragile – “e in quelli immediatamente successivi” – il correre in bicicletta lungo percorsi secondari, il ritornare indietro a raccogliere il berretto perso – e anche nei “giorni seguenti” – le modifiche alla bici o il taglio dei capelli – “evidenziano uno stato mentale pienamente integro”.
Cosa confermata dai medici del penitenziario di via Gleno, da dove l’uomo è stato trasferito ad un altro carcere per motivi di incolumità, dopo che altri detenuti gli hanno lanciato bombolette incendiate: subito dopo il suo ingresso i medici lo avevano visitato senza rilevare “alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente”.
E sebbene Sangare abbia parlato di “feeling” o “mood” che lo avrebbe costretto a fare “qualcosa di male” senza un bersaglio preciso, la gip rende una lettura ben diversa:
“L’omicidio sembra commesso da un soggetto (…) spesso in preda alla noia” privo di “stabile attività lavorativa” e “impregnato dai valori trasmessi” da un genere musicale (il riferimento è al rap e alla trap) “che esalta la violenza, il sesso estremo, l’esigenza di prevalere” sugli altri. Un soggetto che “aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltelli a una rudimentale sagoma di cartone, con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano” e che sarebbe “stato assalito dal desiderio di provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina” che lui stesso “ha cercato di descrivere, seguita da uno stato di benessere e relax”.
Durante la sua confessione aveva infatti detto a inquirenti e investigatori di essersi “pentito di aver fatto quella cosa lì, purtroppo è capitato, è passato un mese, piangere non posso piangere, non ti puoi buttare giù altrimenti non ti rialzi più. C’era anche una zona di comfort”.
La sera dopo il delitto ha partecipato a una grigliata con gli amici e il giorno dopo ancora si è sbarazzato del coltello. Lo ha sotterrato nei pressi di un argine dell’Adda e non lo ha gettato nel fiume come gli altri perché voleva “avere memoria di quello che ho fatto”, una sorta di ‘souvenir’. Intanto per tutto il pomeriggio il Ris e i carabinieri di Bergamo, alla presenza del difensore, l’avvocato Giacomo Maj, hanno effettuato nuovi rilievi nella casa di Suisio in cui Sangare ha vissuto alla ricerca di ulteriori tracce e per isolare alcuni reperti ritenuti di interesse investigativo. Infine, da quanto si è saputo, la Procura non ha alcuna intenzione di chiedere una consulenza sullo stato di salute mentale di chi avrebbe agito, secondo diversi pareri, con lucidità e che prima di accoltellare Sharon si è ‘esercitato’ anche con una statua.