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Moussa Sangare, il killer di Sharon Verzeni è in cella guardato a vista: “E’ frastornato e chiuso nel silenzio”

Moussa Sangare, il 31enne fermato per l’omicidio di Sharon Verzeni, si trova attualmente nel carcere di Bergamo ed è da solo in cella, sotto stretta vigilanza ed è seguito dagli psicologi dell’istituto. Il giovane, dopo il suo arresto, si sarebbe chiuso nel silenzio e finora avrebbe chiesto solo da bere. Il suo Giacomo May l’ha visitato nel carcere di via Gleno dove sta attendendo la fissazione dell’udienza di convalida del fermo davanti al gip.

La richiesta di convalida del fermo per omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi sarà inviata oggi al gip. Si tratta di un omicidio “senza alcun movente” come spiegato dalla procuratrice facente funzione di Bergamo, Maria Cristina Rota. L’uomo era uscito di casa con quattro coltelli “per colpire” e la donna “si è ritrovata nel posto sbagliato al momento sbagliato”. In casa di Sangare i carabinieri di Bergamo hanno sequestrato una sagoma umana di cartone contro cui lanciare i coltelli. Vittima e il suo presunto assassino non si conoscevano. Il gip, ricevuta la richiesta di convalida fisserà nelle prossime ore un’udienza che difficilmente potrebbe però tenersi oggi.

Moussa Sangare, l'assassino di Sharon Verzeni
Moussa Sangare, il killer di Sharon Verzeni è in cella guardato a vista: “E’ frastornato e chiuso nel silenzio” (foto Ansa) – Blitz Quotidiano

Sergio Ruocco torna a Terno d’Isola per salutare il parroco

Il giorno dopo il fermo di Moussa Sangare, il compagno di Sharon Verzeni, Sergio Ruocco, è tornato a Terno d’Isola dove viveva con la fidanzata. “Sto andando a salutare il don”, ha detto ai cronisti, riferendosi al parroco con il quale lui e la 33enne avevano frequentato il corso per fidanzati in vista del matrimonio. Non ancora un rientro definitivo nel piccolo Comune, in quanto nella villetta dove abitava con la donna sono ancora presenti i sigilli. “Ci faranno sapere qualcosa la prossima settimana”, ha detto Ruocco a chi gli ha domandato se avesse avuto notizie in merito a un eventuale dissequestro dell’abitazione. Dal giorno dell’omicidio, avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 luglio, il 38enne abita infatti dai familiari della vittima a Bottanuco. Sono in tanti i compaesani che fermano Ruocco per le strade di Terno d’Isola, per salutarlo ed esprimere la propria vicinanza. Con i giornalisti l’uomo scambia solo poche parole e poi si allontana.

I due testimoni: “Siamo di origini straniere come Sangare”

Erano usciti per allenarsi la notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi i due testimoni – italiani di origine marocchina – che hanno riferito agli investigatori di aver visto un uomo in bicicletta la sera del delitto di Sharon Verzeni a Terno d’Isola e che poi hanno riconosciuto Moussa Sangare, il 31enne – italiano con origini nel Mali – che, portato al comando dei Carabinieri e interrogato, ieri all’alba ha confessato l’omicidio.

I due testimoni, 25 e 23 anni, il primo commesso in un negozio di abbigliamento e l’altro autista per un grande magazzino, giocano rispettivamente a kickboxing e calcio e quella sera erano usciti, hanno spiegato in un’intervista a Repubblica, come al solito molto tardi. “Era più o meno mezzanotte – hanno ricordato -, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima. Abbiamo raccontato di quel ragazzo quando siamo stati chiamati in caserma”.

“Abbiamo avuto la cittadinanza italiana da ragazzini”

Quanto hanno riferito è stato uno degli indizi che hanno consentito ai Carabinieri di arrivare a Sangare. “Ora – hanno riferito dopo aver appreso del fermo del 31enne – ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili all’identificazione dell’assassino”. “Noi – hanno aggiunto – abbiamo avuto la cittadinanza italiana da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere”. Ai due adesso resta solo un rimpianto, dato che quella notte non si trovavano vicino al luogo dell’aggressione: “Non abbiamo potuto fare qualcosa per Sharon. Se fossimo stati più vicini forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti”.

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