Brevi considerazioni sulla figura di Moussa Sangare, l’assassino reo confesso di Sharon Verzeni. Qualche giornale ha preferito dare molto più spazio (lo ha fatto anche Blitz Quotidiano) alle dichiarazioni da parte di Salvini e della Lega sulla nazionalità e le origini di Sangare piuttosto che analizzare gli aspetti concreti della vicenda.
Come spesso accade in questo Paese, si ama svolazzare sulla preda come fossimo avvoltoi senza dare senso compiuto alla notizia. E siamo noi giornalisti, spiace dirlo, in molti casi a dare in pasto all’opinione pubblica vicende che andrebbero meglio raccontate: lo facciamo per inseguire facili click ed anche, lo si vede in questa epoca di “Telemeloni”, per ragioni spesso politiche.
Nel caso in questione ci sono due particolari che probabilmente sfuggono ai più. La prima è legata alla figura di Moussa Sangare. Come detto da un suo vicino di casa, “Moussa era un bravo ragazzo, di talento. L’ho visto cambiare quando è tornato dagli Stati Uniti, era ‘bruciato'”. Ora per “bruciato” si intende certamente l’aver fatto uso di droghe. E infatti era noto che Moussa Sangare abbia avuto problemi con l’abuso di sostanze. Sempre all’Ansa, un altro vicino aggiunge che “Si faceva qua, si faceva in piazza. Avevo l’intuizione che prima o poi sarebbe successo qualcosa”.
La frase conferma che il problema non è la razza (come hanno voluto raccontare diversi esponenti politici) ma l’uso di droghe che forse sta dilagando in maniera incontrollata come mai accaduto prima. Italiano o straniero che sia, è questo il problema: Sangare aveva perso la “bussola”. E se fosse stato italiano, rapper o non rapper, sarebbe stata forse la stessa cosa.
La seconda considerazione è legata ai due ragazzi che sono andati ai Carabinieri a raccontare di averlo visto in bici. Sono due giovani di origini marocchine che, come Moussa, hanno la nazionalità italiana. La loro testimonianza è stata uno degli indizi che hanno consentito ai Carabinieri di arrivare a Sangare. I due giovani, in un’intervista a Repubblica hanno detto di sentirsi orgogliosi per essere stati utili all’identificazione dell’assassino ed hanno aggiunto: “Abbiamo avuto la cittadinanza italiana da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere”.
Sfido chiunque a contare quante volte si parlerà di loro nei tanti programmi televisivi di approfondimento che vedremo nelle prossime settimane.