Intervistata dal Corriere della Sera, Rahma Nur, nata a Mogadiscio, arrivata a 5 anni a Roma nei primi anni Settanta, naturalizzata italiana e maestra dal 1992 alla scuola primaria statale di Pomezia (Roma), racconta: “Una collega mi chiamava cioccolatino, questo è il mio Paese ma oggi c’è chi non si vergogna più di essere razzista. Dobbiamo saper accogliere tutte le differenze”.
“In classe – continua la maestra – sto bene, è il mio luogo sicuro e spero sempre lo sia anche per i miei alunni. Faccio studiare Ungaretti, la poesia afroamericana e il blues. I bambini? Sono più curiosi che paurosi”. Quanto ai colleghi, “quando ho preso servizio vedevo gli insegnanti un po’ cauti nei miei confronti e una volta entrati più in confidenza mi hanno detto che il collaboratore aveva detto loro che parlavo a stento italiano”.
“Tempo fa – aggiunge – c’era una collega che durante il collegio dei docenti mi diceva: ‘Tu come la pensi, cioccolatino?’. Le sembrava un vezzeggiativo. Le ho fatto notare che se voleva usare un tono affettuoso avrebbe potuto chiamarmi con un diminutivo: Rahmuccia, casomai. La collega si è offesa”.
E oggi? “Ci sono più persone che approfondiscono: si parla di più di antirazzismo, antiabilismo, femminismo. Sono persone che studiano e si documentano. Dall’altro lato però vedo che non ci si vergogna più di essere definiti razzisti, anzi, ci sono molti che si sentono orgogliosi di dire: ‘Questi non li voglio qui nel mio Paese’. Sono persone che hanno paura di affrontare questi temi perché non hanno gli strumenti per capire e superare i pregiudizi”.