Saman Abbas (Foto Ansa)
La Procura generale di Bologna ha chiesto la condanna all’ergastolo per tutti e cinque i familiari imputati per l’omicidio di Saman Abbas: il padre, la madre, lo zio e i due cugini. Concludendo la sua requisitoria nel processo d’appello, la sostituta procuratrice generale Silvia Marzocchi ha invocato una sentenza che restituisca a Saman il suo ruolo di vittima innocente, uccisa in modo “inumano e barbaro” da chi avrebbe dovuto proteggerla.
Secondo l’accusa, si è trattato di un omicidio premeditato e motivato da ragioni abiette, seguito dalla soppressione del corpo. Per questo, è stato chiesto l’ergastolo con un anno di isolamento diurno per ciascuno degli imputati. In primo grado, la Corte d’Assise di Reggio Emilia aveva inflitto l’ergastolo ai genitori di Saman, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, escludendo però il reato di soppressione di cadavere. Lo zio Danish Hasnain era stato condannato a 14 anni, mentre i due cugini, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, erano stati assolti e rimessi in libertà.
Ripercorrendo gli ultimi giorni di vita della giovane, Marzocchi ha evidenziato come Saman, dal 20 aprile 2021 in poi, vivesse immersa in un’illusione costruita dalla sua stessa famiglia: una messinscena fatta di sorrisi e normalità, dietro la quale si celava un piano di morte. La ragazza sarebbe dovuta entrare in comunità il 3 maggio, un’eventualità che avrebbe potuto salvarle la vita se solo fosse accaduta pochi giorni prima. “Basta osservare il video in cui Saman scherza con la madre nel cortile di casa per capire che non avrebbe mai abbandonato la famiglia se le fosse stato concesso di vivere liberamente, secondo i suoi desideri”, ha sottolineato la procuratrice.
Nel suo intervento, Marzocchi ha chiesto anche che ciascun protagonista della vicenda venga collocato nella posizione che gli spetta in base ai fatti. Il fratello minore, ad esempio, va riconosciuto come una vittima a sua volta: un ragazzo molto giovane, traumatizzato, lasciato solo, e privo di ogni responsabilità, anche sotto il profilo processuale. La richiesta della Procura è quella di una sentenza che rifiuti narrazioni ambigue e giustificatorie. Che non descriva il padre come un genitore qualunque, come avvenuto nella sentenza di primo grado, né la madre come sopraffatta da un impulso emotivo. Ma che li riconosca per ciò che, secondo l’accusa, sono stati: freddi pianificatori dell’omicidio della loro figlia. Infine, la procuratrice ha invocato un verdetto che liberi Saman dall’etichetta di “ragazza ribelle”, come se il desiderio di scegliere liberamente la propria vita e i propri affetti giustificasse, anche solo lontanamente, la violenza che ha subito. Una sentenza che affermi chiaramente che nulla poteva, né doveva, essere evitato da lei.