Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, la ridicola e assurda Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loro scomparsa apre i lavori all’ora di pranzo, alle 13,30 di giovedì 9 maggio 2024, nell’aula al terzo piano di Palazzo San Macuto con l’audizione di Maria Antonietta Gregori, Federica Orlandi, Maria Cristina Orlandi, Natalina Orlandi e Pietro Orlandi.
Poteva succedere solo in Italia.
Pino Nicotri, che segue da decenni la vicenda e conosce i dettagli come pochi, apre i lavori con questa nota. Resta un mistero, a meno di spiegazioni mistiche, l’accanimento di un politico di solito con i piedi per terra come Carlo Calenda.
“Papa Wojtyla? È giusto indagare a 360 gradi, non possono esserci intoccabili”: lo ha sostenuto con sussiego Pietro Orlandi il 12 aprile dell’anno scorso. Per giustificare le sue pesanti allusioni alla possibilità che Papa Wojtyla abbia avuto a che vedere con la scomparsa di Emanuela, ci ha tenuto infatti a dichiarare in tv a La7:
“Papa Wojtyla? È giusto indagare a 360 gradi, non possono esserci intoccabili”.
Giusto, perbacco! Ma allora perché zio Mario Meneguzzi invece NON si deve toccare, anzi non si deve neppure nominare? Perché lui invece deve essere per forza intoccabile? E perché se c’è lui i 360 gradi diminuiscono vertiginosamente fino a coprire di insulti chi ne parla e ad accusarlo anche di menzogne? Stando alle cronache riguardanti le purtroppo non infrequenti scomparse di minorenni, è statisticamente più facile che i responsabili siano i Papi o qualcuno tra i parenti e gli amici di famiglia?
Domande che benché evidentemente dovute perché si riferiscono a una contraddizione clamorosa nessuno osa porre in nessun salotto televisivo e neppure nelle interviste per i giornali cartacei. Pietro Orlandi per suscitare più sdegno contro il Vaticano e accattivarsi più simpatia da parte della pubblica opinione parla della scomparsa di Emanuela anche come possibile caso di pedofilia. Nessuno gli fa notare che il reato di pedofilia non esiste se si fa sesso con chi ha più di 14 anni. Età che Emanuela aveva superato da un anno e 5 mesi e mezzo essendo nata infatti il 14 gennaio 1968.
Il deputato Riccardo Augusto Marchetti della Lega, vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, ha fatto sapere che:
“Le audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori inizieranno giovedì 9”.
E ha specificato che tra i primi verranno ascoltati i familiari delle due ragazze, a partire da Pietro e Natalina Orlandi. La credibilità della seconda non è proprio indiscutibile: quando l’11 luglio dell’anno scorso in conferenza stampa per difendere lo zio dai sospetti che l’avesse stuprata (sospetto peraltro non avanzato da nessuno e da nessun documento, motivo per cui non si capisce perché la Orlandi lo abbia nominato) o che ci avesse davvero tentato pesantemente con lei, per giunta ricattandola che se rifiutava la faceva licenziare, ha sostenuto che lo zio aveva una intensa vita religiosa. Per quanto intensa, non sarà mai stata più intensa di quella di Papa Wojtyla, quindi non si capisce con quale logica si voglia invece sospettare pesantemente del pontefice.
Natalina inoltre nella puntata di “Chi l’ha visto?” del 5 luglio 2010 ha sostenuto che nel 1983 la fermata ferroviaria Roma-S. Pietro non esisteva ancora, mentre invece esisteva da più di 100 anni! Per l’esattezza, esisteva dal 29 aprile 1894. Nella stessa occasione Natalina ha sostenuto che sempre nel 1983 la stazione ferroviaria interna al Vaticano non era più in uso, mentre invece risulta anche da articoli di giornali che veniva usata, anche se meno degli anni precedenti.
Per parte sua Pietro Orlandi, come risulta dalla sua recente intervista a Cusano Italia TV (dal minuto 52,03 ), ha già messo le mani avanti e i piedi nel piatto per ridurre di molto i famosi 360 gradi con tre chiari obiettivi:
– (tentare di) orientare e condizionare la stessa Commissione;
– evitare la pista zio Mario Meneguzzi;
– scongiurare e mettere fuori gioco l’inchiesta vaticana del Procuratore di Giustizia Alessandro Diddi. Contro il quale si è scagliato con particolare foga:
“Un appello al Vaticano, qualcuno informi Papa Francesco che il procuratore Diddi non sta facendo quello che il Pontefice ha chiesto espressamente: indagare su Emanuela Orlandi”.
Segue però un’affermazione che contraddice quanto appena detto:
“E’ chiaro che questo rallentamento della Commissione Bicamerale è stato voluto dal Vaticano con i suoi numerosi tentativi di rallentarla, frenarla se non addirittura stopparla, inventando tantissime menzogne”.
Quali siano “i suoi numerosi tentativi di rallentarle”, fatti da chi rivolto a chi e quando, e le “tantissime menzogne”, oltre ovviamente quella sullo zio Mario, non è dato sapere. A parte questo, non si capisce il senso dell’appello a Papa Francesco se fosse vero che il Vaticano rema contro. Se fosse vero che rema contro allora a voler remare contro sarebbe lo stesso Pontefice, perché in Vaticano comanda lui su tutto, motivo per cui l’asserita inazione del magistrato Diddi sarebbe dovuta alla volontà dello stesso Papa Francesco. Ma procediamo.
Pietro Orlandi raccomanda alla Commissione di non andare a indagare fin dall’inizio della vicenda, cioè dal 22 giugno 1983:
“L’importante è che non decidano di ripartire da quello che io chiamo ‘l’anno zero’; perché se ripartiranno ad esempio dall’uomo dell’Avon che avvicinò mia sorella, diventerà impossibile trovare pezzi di verità”.
E qui a proposito del misterioso “uomo Avon” c’è una sorpresa.
Cominciamo col dire che non si è mai capito se Emanuela ha telefonato a casa e parlato con la sorella Federica prima, durante o dopo la fine, alle 7 di sera, delle lezioni alla scuola di musica Ludovico da Victoria per dire che le era stata fatta da uno sconosciuto la proposta di distribuire volantini dei cosmetici Avon forse a una sfilata di moda. Emanuela a Federica ha aggiunto che lo sconosciuto per sapere se la proposta veniva accettata o no era disposto ad aspettare che venisse la mamma di Emanuela, signora Maria, per spiegare anche a lei di cosa si trattava. Ma la mamma di Emanuela non era ancora tornata a casa da una visita con suo marito Ercole, papà di Emanuela, a parenti di Fiumicino.
Aggiungiamo che Emanuela era rimasta d’accordo con la sorellina più giovane, Maria Cristina, che dopo le lezioni avrebbe raggiunto lei “e gli altri amici della comitiva intorno alle 19,10 – dopo la lezione di musica – vicino al ponte pedonale di Castel S. Angelo”, dalla parte opposta del Tevere rispetto il da Victoria, per poi tornare tutti a casa a piedi per l’ora di cena. Non si è mai capito perché Emanuela invece che andare verso Castel S. Angelo si sia diretta dalla parte opposta, per tornarsene direttamente a casa in autobus da sola come se si fosse completamente dimenticata dell’appuntamento con la sorellina e gli amici.
La sorpresa è che il 12 novembre 2008, interrogata dai magistrati Simona Maisto e Roberto Staffa, Maria Cristina oltre a mettere a verbale quanto ho messo tra virgolette poco fa ha messo a verbale anche quanto segue:
“Aspettammo abbastanza, poi tornai a casa convinta di trovare Emanuela. Mia madre invece mi disse che Emanuela non era tornata e NON AVEVA NEPPURE TELEFONATO”. Le ultime quattro parole le ho evidenziate tutte in maiuscolo io.
Dato l’orario di cena, quando è arrivata Maria Cristina a casa c’era sicuramente anche Federica. Appare quindi francamente strano che alla madre non abbia detto nulla della telefonata di Emanuela. Non siamo certo tra coloro che sospettano che la telefonata in questione non sia mai avvenuta e che sia stata inventata di sana pianta dagli Orlandi: semmai Maria Cristina potrebbe non ricordare bene gli avvenimenti di 25 anni prima di quella sua testimonianza del 2008. Se però dopo 25 anni a non ricordare bene è stata una sorella di Emanuela, chissà come faranno a ricordare tutto bene dopo altri 16 anni, per un totale di ben 41 anni, tutti gli altri testimoni che la Commissione vorrà sentire. Ammesso che siano vivi. Se sono vivi sono sicuramente molto anziani, per non dire vecchi, e con l’età la memoria di sicuro non migliora.
Forse è anche per questo che Pietro Orlandi a Cusano Italia TV ha sostenuto che la Commissione parlamentare deve partire non dall’inizio degli avvenimenti, ma dalle piste lanciate da lui negli ultimi anni. A partire dalla “pista inglese” , vecchia come il cucco, nata infatti nel 2017, ma ripescata di recente sia pure con altri protagonisti. E a finire con Emanuela sepolta nel cimitero Teutonico del Vaticano o forse nella basilica di S. Maria Maggiore o da qualche altra parte di competenza comunque vaticana. Senza dimenticare la “rivelazione” dell’accordo tra il magistrato Giancarlo Capaldo, titolare della penultima inchiesta, chiusa nel 2015, sul caso Orlandi, e due ufficiali della Gendarmeria vaticana: in cambio dello spostamento della salma del “boss della Banda della Magliana” dalla basilica di S. Apollinare, avrebbero consegnato “il dossier vaticano” su Emanuela e indicato dove è stata sepolta. Storia, o meglio storiella, mai chiaramente confermata neppure dalla sua asserita fonte, lo stesso Capaldo.
E perché la Commissione non si attardi su piste vecchie Pietro Orlandi conclude così la sua intervista:
“E un appello voglio farlo alla Commissione parlamentare: convocatemi prima possibile perché ho tanto materiale utile da fornirvi”.
Il “tanto materiale utile” non è altro che quello già consegnato a partire da oltre un anno fa – l’11 aprile dell’anno scorso – al magistrato vaticano Diddi assieme a una lista di nomi di personaggi in gran parte vaticani da interrogare a conferma della bontà di quel materiale. Più l’insistenza sulla “pista inglese”, che la grafologa Sara Cordella ha già stato dimostrato essere falsa, motivo per cui non si capisce come la Commissione parlamentare potrebbe appurare che è invece vera.
Proprio riguardo la “pista inglese” Pietro Orlandi da Cusano Italia TV ha lanciato le accuse più dure, queste sì a 360 gradi. Parlando dell’asserito suo informatore della “pista inglese”, improvvisamente sparito anche dai social, ecco cosa ha infatti detto:
“La Procura di Roma, quella Vaticana e la Commissione parlamentare dovrebbero rintracciarlo e convocarlo, ma, nessuno fa nulla, nessuno mi ha contattato per approfondire. Preferiscono continuare a indagare sulla solita trita e ritrita pista familiare che riguarda mio zio. Ecco, voglio far sapere a Papa Francesco, che non riesco a incontrare in nessun modo, che la persona che lui ha incaricato di seguire l’inchiesta, ovvero il Procuratore Vaticano Alessandro Diddi, sta facendo esattamente il contrario di quello che aveva chiesto espressamente il Pontefice anche con una lettera inviata a me e al mio avvocato Laura Sgrò: indagare sulla scomparsa di Emanuela”.
Come si possa con una lettera all’Orlandi e al suo avvocato chiedere al magistrato Diddi di indagare è un altro bel mistero.
Non si capisce neppure come potrebbe la Commissione, che è italiana, indagare in Vaticano, che non è un quartiere di Roma, ma uno Stato estero, sul quale l’Italia non ha nessuna giurisdizione. La Commissione dovrebbe quindi procedere con le rogatorie internazionali: ma è ovvio che il Vaticano non può inventarsi verità che facciano contento Pietro Orlandi e i suoi fans, compresi quasi tutti i membri della stessa Commissione se non dell’intero parlamento, ma dovrà limitarsi a trasmettere i propri accertamenti. Evitando ovviamente di trasmettere quelli eventualmente troppo scomodi, nel caso fantascientifico che risultino implicati Papa Wojtyla e, come pure grida Pietro Orlandi, omertosi i due Papi successivi: il tedesco Joseph Aloisius Ratzinger, cioè Papa Benedetto XVI, e l’argentino Jorge Mario Bergoglio, cioè l’attuale Papa Francesco. l’Italia non può certo invadere il Vaticano per fare contento Pietro Orlandi e i suoi tifosi dando la caccia alle prove, ammesso che esistano.
Insomma, tutto sommato si tratta del classico cane che si morde la coda. O anche: tanto clamor per nulla.
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