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Papa Giovanni Paolo e Emanuela Orlandi, intervista alla moglie di Ali Agca, Seconda Parte

Papa Giovanni Paolo II e Ali Agca nel libro scritto da Elena Rossi, la moglie italiana, intervistata da Pino Nicotri. Seconda parte. 

La prima puntata della intervista si trova qua.

D – Non ho mai creduto che Alì Agca facesse parte dei Lupi Grigi. E che non ne facesse parte lo dimostra il fatto che una volta estradato in Turchia i Lupi Grigi, nonostante avessero ormai un notevole potere politico legale, non lo hanno affatto aiutato.

Né per evitare che tornasse in prigione per scontare il resto della condanna per l’omicidio del giornalista Abdi Ipekçi, caporedattore dell’importante giornale Milliyet,  né per trovargli una sistemazione e un buon lavoro per vivere. Invece che farne un eroe, e magari farlo eleggere in parlamento, lo hanno ignorato.

R – Come le ho già detto, Ali Ağca faceva veramente parte dei Lupi Grigi. Dopo l’estradizione in Turchia, Ağca aveva ancora dei conti in sospeso con la giustizia e per questo ha dovuto scontare altri dieci anni di carcere.

La legge turca è molto severa e i Lupi non avrebbero potuto fare molto per evitargli la galera. Certo i veri esecutori materiali dell’omicidio Ipekci avrebbero potuto dire la verità e scagionare Ali, ma non l’hanno fatto… e lui non ha parlato. Antico patto d’onore fra turchi!

In quanto ad Abdi Ipekci, ci tengo a chiarire che non venne ucciso perché era un intellettuale di sinistra, progressista eccetera, come in tanti sostengono, anche in Turchia, ma perché ebreo sionista e massone, un gran maestro della massoneria! La cupola masso-sionosta già negli anni Settanta stava cominciando ad allungare i propri tentacoli sui mezzi di informazione turchi e Ipekci ne era un degno rappresentante. Prima di essere ucciso, il Mit ( Servizi segreti turchi) aveva messo i suoi telefoni sotto controllo per trovare le prove della sua appartenenza al Mossad. 

D – Addirittura!

R – Disgraziatamente ormai, sionisti e massoneria hanno il controllo dei media anche in Turchia…. Dopo l’uscita dal carcere, i Lupi Grigi lo hanno aiutato molto. I nostri migliori amici sono anche adesso legati al partito MHP, cioè il partito del Movimento Nazionalista legato ai Lupi Grigi e alleati del partito AKP di Erdogan. Ağca non è potuto entrare in politica perché la legge turca lo vieta a coloro che hanno subito una condanna penale superiore ai cinque anni. L’equivoco della non appartenenza di Ağca ai Lupi Grigi penso provenga da alcune considerazioni di Priore che ebbe modo di interrogare a lungo Oral Çelik e altri Lupi Grigi. É ovvio che loro fossero arrabbiati con Ağca e che cercassero di negare la sua appartenenza al movimento poiché li aveva coinvolti ingiustamente nell’attentato al Papa e a causa sua si erano trovati in guai seri. Çelik aveva addirittura rischiato l’ergastolo! Per questo non ha più voluto incontrarlo anche se erano amici fin da ragazzini.

 

 

D – Un magistrato mi ha detto che durante il processo per l’attentato al papa Alì si scriveva sul palmo delle mani, come facevamo a scuola per i temi in classe, i nomi e le date da rifilare ai magistrati perché credessero alla “pista bulgara”. In modo da poter far credere che dietro l’attentato ci fosse in realtà il Cremlino. Vale a dire, l’allora esistente Unione Sovietica e il comunismo. Un pista inventata per usarla nella Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica.

R- Ali mi ha detto che non aveva bisogno di scriversi niente sulle mani perché ricordava bene tutto a memoria. Di sicuro, al processo Ağca ha mentito parecchio al giudice Santiapichi e alla Corte d’Assise, ma non è stato il solo !

Il Sisde ha certamente imbeccato Ağca, infatti il suo avvocato d’ufficio Pietro D’Ovidio era legato al Servizio segreto civile, ma in Italia i servizi segreti sono organi esecutivi, non direttivi, cioè non agiscono di loro iniziativa, bensí prendono ordini da chi sta più in alto. Al processo, quando ormai era chiaro che dietro Ağca c’era un suggeritore, per mezzo del “pentito” Giovanni Pandico, cercarono di fare ricadere la colpa sul povero generale Pietro Musumeci, già inguaiato con la P2, e sul Sismi che non c’entravano niente. In buona sostanza, i veri “soffiatori” di Ağca imbeccarono anche Pandico. Nel mio libro spiego tutto approfonditamente.

D) – Nel dicembre dell’82 l’allora ministro socialista della Difesa Lello Lagorio disse che Agca era stato “istruito” in carcere dai servizi segreti italiani. A imbeccare Alì per la pista bulgara era stato qualcuno dei servizi segreti civili, non di quelli militari. Lei ne conosce i nomi? 

R – Si, il maggiore Alessandro Petruccelli del Sismi e il vice questore Luigi Bonagura anche lui del Sisde incontrarono Ağca nel carcere di Ascoli Piceno il 29 dicembre 1981. É opportuno chiarire bene che quell’unico incontro con i due funzionari dei Servizi italiani avvenne su richiesta dello stesso Ağca che pretendeva garanzie ulteriori, rispetto a quelle già ricevute, circa la sua liberazione in pochi anni in cambio della sua falsa accusa al blocco sovietico.

Voleva un incontro “ufficiale “, qualcosa che risultasse dalle carte e non solo di sussurrato dietro le quinte… Inoltre in Turchia certe operazioni poco legali sono condotte sempre esclusivamente dai Servizi segreti e mai direttamente dai magistrati. Quindi in un qualche modo si era portato dietro quella particolare forma mentis. Petruccelli e Bonagura gli spiegarono che se avesse accettato di accusare i Servizi bulgari per l’attentato del 13 maggio, il Papa avrebbe chiesto la grazia per lui al Presidente Pertini e nel giro di pochi anni sarebbe stato un uomo libero.

Ağca accettò. I due agenti e i relativi superiori Emanuele De Francesco, capo del Sisde, e Ninetto Lugaresi, capo del Sismi, vennero poi ascoltati al processo il 6 dicembre 1985, e dichiararono che quell’incontro era stato richiesto effettivamente da Ağca, fortemente raccomandato dall’Autorità inquirente (giudice istruttore e capo della polizia) e addirittura dal ministro dell’Interno Virginio Rognoni che aveva direttamente interpellato Lugaresi al fine di convincerlo a “prestare” un suo agente per quell’operazione.

Invito caldamente i lettori ad ascoltare personalmente la deposizione del generale Ninetto Lugaresi, veritiera ed esplicativa, reperibile su Radio Radicale. Terminato il colloquio con Ağca, i due 007 non andarono a fare rapporto ai loro superiori, bensì al giudice Martella che non mise a verbale le loro dichiarazioni! Questo fatto é emerso inequivocabilmente durante la fase dibattimentale.

D – La grande e duratura frottola di Alì Agca attentatore alla vita del papa polacco per conto di Mosca ha condizionato e di fatto impedito che si riuscisse a capire che fine ha fatto e per mano di chi la ragazza vaticana Emanuela Orlandi. E’ stata infatti subito lanciata la falsa pista secondo la quale Emanuela era stata rapita per essere scambiata con la scarcerazione di Alì. Balla colossale che di fatto ha impedito che si potessero fare indagini serie.

R – Come giá accennato, la pista del terrorismo internazionale per il sequestro Gregori-Orlandi è stata effettivamente l’unica seguita fino al 1997. E ancora adesso il giudice Martella continua a sostenere che il rapimento delle due ragazze sia riconducibile alla Stasi e ai Servizi segreti bulgari! Ricordiamo che fu proprio papa Wojtla la vigilia di Natale ’83 a dire a casa Orlandi che quello di Emanuela era “un caso di terrorismo internazionale”.

Ma Ağca non aveva nessun complice e nessun mandante nell’attentato al Papa, dunque nessun “terrorista” poteva avere rapito Mirella ed Emanuela per scambiarle con lui. Il discorso è complesso e nel libro ho cercato di chiarirlo meglio che ho potuto. Comuque, come ho già spiegato, Petruccelli e Bonagura, a fine dicembre 1981, promisero ad Ağca che il Papa avrebbe chiesto la grazia per lui a Pertini! E non erano stati nemmeno i primi a fargli quella promessa!!

Un anno e mezzo dopo, all’inizio di luglio 1983, l’Amerikano avrebbe cominciato a chiedere l’intercessione del Papa presso il Capo dello Stato proprio per la grazia ad Ağca, in cambio della restituzione di Emanuela e poi di Mirella. Questo é un elemento su cui riflettere! Senza tralasciare il fatto che ad Ağca, all’inizio della sua collaborazione con la “giustizia “, ovvero nel maggio 1982, venne fatto verbalizzare che si aspettava di essere liberato dai suoi complici e mandanti (inesistenti) anche per mezzo di un sequestro di persona! Secondo me, a quell’epoca, i preparativi per “l’allontanamento domiciliare” di Emanuela Orlandi erano già iniziati.

D – Guardi che era il cosiddetto Americano, con la c e non col kappa, chiamato così dai giornalisti da quando lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi, che ripondeva al telefono in casa Orlandi, disse loro che “parla con un accento strano, pare un americano”. Poi in una puntata di Telefono Giallo il commissario di polizia Nicola Cavaliere lo fece diventare chissà perché l’Amerikano col kappa: dal titolo omonimo del film di Costa Gavras ambientato in Sud America tra CIA, infiltrati e ribelli.

Chiarito questo, le chiedo come mai l’avvocato Ferdinando Imposimato, ex magistrato del Tribunale di Roma, è stato per qualche mese il legale di Alì già condannato all’ergastolo? Non trova strano che poi lo stesso Imposimato sia diventato il legale della signora Maria Pezzano madre di Emanuela Orlandi? Madre cioè di una figlia che la vulgata e le indagini anche giudiziarie volevano rapita per essere scambiata proprio con Agca.

R – Imposimato era un grande manipolatore! Nel mio libro gli ho dedicato molte pagine. Ormai in pensione, si propose lui ad Ağca, gratis, per continuare a influenzare la storia e penso che con la famiglia Orlandi abbia fatto la stessa cosa. Fu lui a spingere Ağca a scrivere una lettera piena di menzogne al giudice Martella, dove recuperava la frottola del mai progettato attentato a Lech Walesa e ad Ercole Orlandi, preoccupandosi poi di recapitarle personalmente ai destinatari…

D – In una puntata del programma televisivo Novecento, condotto da Pippo Baudo, successiva alla estradizione di Alì, Imposimato si disse sicuro che essendo ormai lui tornato in Turchia i “rapitori” avrebbero rilasciato Emanuela. Invece..

R – Ennesimo tentativo di fare credere che i complici di Ağca nell’attentato al Papa, erano anche i responsabili del sequestro di Emanuela. In realtà, la liberazione di Ağca non è mai stato lo scopo principale del rapimento delle due ragazze, la sua accusa al blocco sovietico invece lo era!

Ağca era solo il mezzo, mentre il vero fine era quello di convogliare il disprezzo e l’odio dell’intero mondo cattolico verso “l’impero del male”. Dunque il fatto che Ağca fosse stato graziato vent’anni dopo poco importava… Adesso comunque la storia si sta ripetendo e molto peggio di allora. Lo scopo dell’Occidente è ancora quello di distruggere la Russia.

D – Perché Alì una volta tornato in Turchia ha raccontato a Pietro Orlandi che Emanuela era stata rapita proprio per essere scambiata con lui?  Perché avvalorare una cosa evidentemente falsa, che Alì non poteva non sapere che fosse falsa?

R – Si, effettivamente é esattamente quello che gli dissero i suoi suggeritori: grazie al sequestro Gregori-Orlandi, Pertini, su richiesta del Papa, gli avrebbe concesso la grazia. E la grazia era il premio promesso per la sua collaborazione contro il blocco sovietico.

Emanuela, la cittadina vaticana, costituiva il pretesto di cui Wojtla si servì per chiedere la grazia per Ağca a Pertini, e Mirella, la cittadina italiana, serviva invece ad esercitare una pressione diretta sul Capo dello Stato. Si ricorda quando l’Amerikano, pardòn L’Americano, mandò i Gregori da Pertini raccomndando loro di mettere la cosa “in chiave sentimentale”?

Dovevano suscitare la sua compassione….ma non servì perché Pertini doveva avere capito più o meno tutto l’inghippo. Inoltre il caso di Emanuela serviva anche a sostenere la pista bulgara, in sé molto fragile, e a distrarre l’attenzione dal fallimento dell’Ambrosiano, provocato dai finanziamenti selvaggi del Papa polacco alla polacca Solidarność. Secondo noi, quella di Mirella e di Emanuela é una storia tutta politica, condotta da soggetti nazionali e internazionali ad altissimo livello. E se vogliamo, anche un’operazione terroristica contro il blocco sovietico. 

D – Una volta Alì ha assicurato a Pietro Orlandi che Emanuela sarebbe “tornata a casa entro la fine dell’estate”. E poi periodicamente ripete che Emanuela è tenuta in un convento di monache nel Lazio. Perché racconta queste sciocchezze, che oltretutto creano negli Orlandi, specie nella anziana madre, aspettative dolorosamente sempre  smentite dai fatti? Voglia di protagonismo anche da parte di Alì?

R – No, non mi pare che Ali abbia mai detto che Emanuela è in un convento nel Lazio. In un convento di clausura sì, e ne é veramente convinto, ma non sa dove, molto probabilmente fuori dall’Italia. Sulla base di quello che hanno raccontato a lui in carcere e che lui ha riferito a me, nemmeno io mi sento di potere escludere che Emanuela possa essere ancora viva per il semplice fatto che Giovanni Paolo II non era un delinquente abituale o un serial killer, bensì il Papa….

Ali é abbastanza ossessionato da Emanuela, in verità molte persone lo sono, cerca sempre notizie su di lei, ne parla continuamente, forse perché è convinto che senza l’attentato lei avrebbe avuto una vita normale e soprattutto perché rappresenta una sorta di legame con il “suo” Papa. Il fatto è che prima lo ha quasi ucciso e poi gli é diventato devoto!

 

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