Pietro Orlandi, i conti non tornano. Tanto attivismo sfrenato è forse dovuto a rimorsi di coscienza? Perché se quel disgraziato giorno l’avesse accompagnata alla scuola di musica o fosse andato a prenderla, come avrebbe potuto e dovuto fare, Emanuela Orlandi non sarebbe sparita.
Dal verbale della testimonianza del 12 novembre 2008 della sorella più giovane Maria Cristina e dello stesso Pietro ai magistrati Simona Maisto e Roberto Staffa, presente il commissario Vittorio Rizzi, risulta per affermazione di Maria Cristina e per ammissione dello stesso Pietro che lui quel disgraziato giorno Emanuela doveva o accompagnarla alla scuola di musica o andarla a prendere.
Ma pur non avendo nessun impegno non l’ha né accompagnata, nonostante la stessa Emanuela a casa glielo avesse appositamente chiesto, né è andata a prenderla nonostante fosse convinto, come ha ammesso con gli stessi magistrati, di essersi impegnato con lei a farlo.
Questo comportamento di Pietro Orlandi è particolarmente grave per due motivi:
– come ha testimoniato a verbale Natalina Orlandi, quel giorno c’era sciopero dei mezzi pubblici, motivo per cui Emanuela ha dovuto farsi a piedi da sola quasi due chilometri;
– se fosse vero che in Vaticano c’era “timore di rapimenti”, tanto che alcuni genitori avrebbero anche cambiato pettinatura alle figlie per cambiarne l’aspetto, il comportamento di Pietro ha esposto de incosciente Emanuela a quel pericolo di rapimento sia all’andata che al ritorno dalla scuola di musica.
E poiché Emanuela quel giorno dopo essere uscita da scuola è davvero sparita, se ne ricava che di fatto la responsabilità di tale scomparsa è di Pietro.
Infatti, se Pietro l’avesse accompagnata non ci potrebbe essere stata la asserita proposta adescatrice dell’uomo dell’Avon, sospettato di averla poi fatta sparire. E se fosse andata a prenderla nessuno, Avon o non Avon, avrebbe potuto rapirla.
Accompagnamento che Pietro avrebbe potuto fare ogni giorno anche per il liceo frequentato da Emanuela, visto che lui in quanto disoccupato non aveva nulla da fare tutto il giorno e tutti i giorni.
Da notare che Pietro ha sempre giustificato la sua inazione di quel 22 giugno col fatto che aveva un appuntamento con la sua fidanzata Anna Graziano e/o che aveva un appuntamento di lavoro. Però nel verbale della testimonianza della fidanzata non risulta avesse appuntamenti con Pietro. Il quale non ha mai specificato che appuntamento di lavoro fosse, dove e con chi, visto anche che era disoccupato e tale è rimasto finché papa Wojtyla nel nuovo anno non lo ha sistemato allo IOR.
Il 31 maggio 2024, giorno successivo all’audizione dei suoi tre cugini, Pietro, Monica e Giorgio, figli dello zio Mario Meneguzzi, Pietro Orlandi ha rilasciato all’Ansa alcune dichiarazioni:
– “Mio zio è stato un grande uomo”. Strana definizione per uno zio che ha cercato di convincere sua nipote Natalina, sorella dello stesso Pietro, a instaurare con lui un rapporto stabile, che secondo quanto ammesso dalla stessa Natalia, le “avrebbe cambiato la vita”.
E che secondo monsignor Josè Luis Serna Alzate, almeno nella seconda metà degli anni ’70 consigliere spirituale e confessore della famiglia Orlandi, l’aveva terrorizzata con “attenzioni morbose”.
– “Ercole stesso lo ha ringraziato come l’unica persona che gli è stata veramente vicino”. Ringraziamento inedito, del quale non c’è nessuna notizia pregressa.
– “Insomma mio cugino ha chiarito che Mario Meneguzzi non aveva nulla a che fare con i Servizi”.
A parte il fatto che se ci avesse avuto a che fare non è detto che i figli lo avrebbero saputo, nessuno ha mai sostenuto che Mario Meneguzzi avesse qualcosa a che fare coi servizi segreti.
Cosa che peraltro non c’entra nulla con l’accusa di avere tentato di convincere la nipote Natalina a “mettersi” con lui.
Vale la pena di notare che Pietro Orlandi da molti anni accusa il Vaticano di molte colpe riguardo la scomparsa di Emanuela Orlandi, arrivando a insinuare responsabilità dirette di Papa Wojtyla e/o alti prelati, eppure continua ad abitare in un ottimo appartamento in via della Conciliazione la cui proprietà fa capo allo stesso Vaticano.
Pietro Orlandi accusa altresì il Vaticano di non avere voluto condurre indagini sulla scomparsa di Emanuela, mentre invece il Vaticano le indagini non poteva condurle perché la denuncia era stata fatta il giorno successivo alla scomparsa solo alla polizia dello Stato italiano e non alla Gendarmeria dello Stato del Vaticano, dove Pietro Orlandi s’è deciso a presentare la denuncia solo nel novembre 2017.
Permettendo così con un ritardo di ben 34 anni che si mettesse in moto anche la magistratura vaticana. Denuncia presentata solo perché rudemente invitato a decidersi a farlo da un abitante del Vaticano.
Essendo inoltre Emanuela scomparsa in territorio italiano il Vaticano non aveva – e non ha – giurisdizione per poter condurre indagini in Italia. Se la scomparsa è dovuta all’uccisione della ragazza e alla soppressione del cadavere si tratta di delitti compiuti in territorio italiano, comunque non vaticano, motivo per cui la magistratura vaticana non ha la giurisdizione per condurre indagini né per il reato di omicidio né per il reato di soppressione di cadavere.
Ma l’Orlandi diventa furioso se gli si fa notare che ci sono delle leggi e che a decidere le competenze di indagine giudiziaria sono le leggi, non i discorsi da bar o i desiderata suoi o dei suoi fans.
In un mio precedente articolo ho fatto rilevare che è sbagliato parlare di pedofilia per la scomparsa di Emanuela, 15 anni e mezzo di età, perché per la legge i rapporti sessuali con chi ha compiuto 14 anni sono leciti (ovviamente se sono consenzienti, altrimenti si tratta di stupro, reato decisamente grave).
Beh, solo per avere citato questa legge Pietro Orlandi nel suo profilo Facebook ha affermato che sono “il capo dei buffoni” e che sarei “da arrestare solo per questo”.
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