Nella notte, nel quartiere Corvetto di Milano, un centinaio di giovani sono scesi in piazza per protestare contro le forze dell’ordine dopo la morte di Ramy Elgaml, il 19enne deceduto in un incidente stradale al termine di un inseguimento dei carabinieri. Durante le proteste, raccontano le cronache, sono stati accesi roghi e lanciati petardi e bottiglie contro la polizia, che hanno risposto con cariche di alleggerimento e lacrimogeni contro la folla. I manifestanti, residenti e tanti giovani di seconda generazione, hanno anche esposto striscioni con le scritte “Verità per Ramy” e “Non condannate un innocente”.
Ma cosa è successo?
Nella notte tra sabato e domenica, secondo una prima ricostruzione, Ramy, egiziano, era su un grosso scooter nero guidato da un giovane di 22 anni, tunisino. I due, con precedenti, non si sono fermati all’alt dei carabinieri in via Farini, a Milano. Da lì è iniziato un seguimento. Con manovre azzardate, i due sono arrivati dall’altro capo di Milano, sempre inseguiti dall’auto dei carabinieri. Nel lungo rettilineo di via Ripamonti, il 22enne però ha perso il controllo dello scooter, e i due si sono schiantati contro un muretto all’altezza di via Quaranta. Dall’analisi delle telecamere, raccontano alcuni giornali, è emersa la possibilità che l’auto dei carabinieri e lo scooter siano entrati in contatto prima dello schianto. “Vogliamo giustizia. Vogliamo vedere i filmati delle telecamere”, chiede il fratello di Ramy, 24 anni. È lui uno degli ultimi ad aver visto Ramy: “È uscito di casa, gli ho spruzzato il mio profumo. Gli avevo detto che avrei lasciato la porta aperta e di tornare presto. Non pensavo lo stessi salutando per sempre”.