Si fa presto a dire sicurezza sul lavoro. Si fa presto a cavalcare la solita appendice di protesta, scioperi, passerelle di sindacalisti indignati. Si fa presto a parlare dell’importanza della prevenzione, dei controlli che sono sempre insufficienti e tardivi, della necessità della formazione di tutti gli operatori coinvolti in aree ad alto rischio . E poi? Nulla o quasi. Eppure è nota la mappa del rischio. In sintesi: sono 974 gli stabilimenti esposti “ad un probabile pericolo che arrechi un danno”; sono 756 i comuni italiani interessati , fonte Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Un ente pubblico che svolge attività di controllo, supporta gli organi di governo. È qui casca l’asino. I controlli si fanno ogni tre anni, ben che vada. Di più: solo 6 persone operano su tutto il territorio nazionale. Prendiamo il caso Calenzano di lunedì 9 dicembre (strage al deposito Eni, 5 morti e 9 feriti): l’ultima ispezione consultabile risale al 2017. Prendiamo il più recente incidente al porto di Genova (operaio schiacciato contro un container), immediata la rivolta dei camali. Immediate le reazioni dei sindacati. Ha detto Roberto Gulli, segretario Uil Trasporti di Liguria: “Vogliamo capire cosa è successo. Bisogna creare tutte le istruzioni che possono mitigare al massimo queste situazioni. La prevenzione passa dalla formazione ma si investe ancora poco”. E qui sta il punto cruciale.
Emergenza senza fine
Nelle ultime 24 ore sono morti 3 operai: 2 in Sardegna, 1 a Genova. E’ una lunga scia di sangue che unisce l’Italia senza tralasciare alcuna regione. Una ferita che si allarga sempre più come ricordano i dati INAIL: 890 caduti sul lavoro nei primi 10 mesi del 2024, 22 in più dello stesso periodo dello scorso anno; un incremento che fa rabbrividire. Il timore è che ci si avvicini al triste record dello scorso anno con 1.041 morti, quasi 3 croci ogni giorno, senza contare i feriti spesso dimenticati anche dalle cronache. Ad esempio: non c’è traccia di un incidente accaduto mercoledì notte, 18 dicembre, allo scalo di Villa Cella (Reggio Emilia) durante opere di manutenzione sull’Alta Velocità. Feriti 3 operai ma non si parla di errore umano, piuttosto si parla di “turni inaccettabili”. Tutto qui.
Basta morti sul lavoro
Uno striscione sul lungomare di Genova scritto dai camalli, sintetizza la disperazione dei lavoratori: “Basta morti sul lavoro! Ci siamo rotti”. Aggiungono i colleghi della vittima Giovanni Macciò, 52 anni: “Non puoi uscire di casa e non tornare più dalla tua famiglia, è inaccettabile”. Anche l’arcivescovo di Matera, intervenendo al funerale di uno dei lavoratori morti a Calenzano ha detto: “Siamo stanchi di trovarci a celebrare esequie di chi muore sul posto di lavoro”. Belle frasi destinate a cadere nel vuoto nelle prossime ore. Insomma tante chiacchiere e pochi provvedimenti concreti. E così fin dal disastro di Seveso (10 luglio 1976) che causò la fuoriuscita e la dispersione nella atmosfera di una nube di diossina. Da allora le direttive che prevedono la prevenzione e il controllo dei rischi di incidenti rilevanti si sono moltiplicate ma i risultati sono piuttosto scarsi. Purtroppo.